Reato di omesso versamento di IVA

Allo “scoccare della mezzanotte” del prossimo 27 dicembre 2023, verrà considerato “commesso” (rectius “consumato”) ogni reato di omesso versamento di IVA in relazione all’anno d’imposta 2022!

Infatti, qualora dalla dichiarazione annuale presentata per l’anno d’imposta 2022 emerga un debito IVA superiore a 250.000 euro, l’omesso versamento di tale debito entro il 27/12/23 integrerà il reato tributario previsto dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000 (Omesso versamento di IVA), punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni.

Per un verso, a commettere il reato di omesso versamento di IVA può essere anche un singolo operatore commerciale (i.e. società n.p. del suo legale rappresentante) operante in una ordinaria filiera di distribuzione di beni e/o servizi. Per altro verso, invece, il reato tributario in commento può emergere nell’ambito di contesti più complessi come le “frodi fiscali”. Tra queste, in particolare, la c.d. “frode carosello”, considerata la frode IVA per eccellenza.

I tempi sono quindi più che maturi per un approfondimento sul tema.

reato di omesso versamento iva

 

Indice

Parte I

Introduzione

Parte II

Gli elementi costitutivi del reato

Parte III

Crisi di liquidità e reato di omesso versamento di IVA

Parte IV

Il regime sanzionatorio

Parte V

Conclusione

 

La norma: il reato di omesso versamento di IVA

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Il reato di omesso versamento di IVA è previsto e disciplinato dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000, una disposizione inserita al Capo II del decreto in commento, dedicato ai “Delitti in materia di documenti e pagamento di imposte”.

A tal riguardo, l’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000 prevede espressamente che:

E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.

Il bene giuridico tutelato

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Il c.d. “bene giuridico” tutelato dalla disposizione penale-tributaria in esame è rappresentato dall’interesse dell’Erario alla tempestiva e completa riscossione dei tributi.

Infatti, la disposizione sul reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000), al pari di quella sull’omesso versamento di ritenute certificate (art. 10 bis, D.Lgs. n. 74/2000), mira a colpire una “condotta di omesso versamento” posta in essere dal contribuente. In questo modo, il legislatore ha inteso fornire una tutela giuridica al gettito erariale nella fase specifica della sua riscossione.

Al pari del reato di “omesso versamento di ritenute dovute o certificate” (art. 10 bis, D.Lgs. n. 74/’00) e a quello di “indebita compensazione” (art. 10 quater, D.Lgs. n. 74/’00), il reato di “omesso versamento di IVA”, proprio in quanto comporta un diminuito incasso del gettito erariale, rappresenta certamente un reato di danno.

La Corte dei Conti “tiene d’occhio” il reato di omesso versamento di IVA

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Il reato di omesso versamento di IVA è stato introdotto dal comma 7 dell’art. 35 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, che ha aggiunto al D.Lgs. n. 74/2000 (c.d. Legge sui reati tributari) il sopra menzionato art. 10 ter.

Alla base della novella normativa si poneva l’indifferibile necessità di far fronte ai crescenti casi di evasione in materia di IVA.

Ebbene, a distanza di più di 15 anni dall’introduzione del delitto tributario in esame, la ratio ispiratrice della novella legislativa appare oggi più che mai attuale.

…e la conferma arriva dalla Corte dei Conti

Nella sua Relazione sul Rendiconto Generale dello Stato 2020, la Corte dei Conti rileva innanzitutto una generale contrazione, nell’anno in esame, del numero dei delitti tributari emersi. La Corte, tuttavia, correla l’involuzione numerica delle fattispecie criminose ad una corrispondente considerevole contrazione dei controlli e delle verifiche effettuati dalle Autorità fiscali a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19.

Al di là di tale generale premessa, la Corte nella sua Relazione rileva altresì che “Nel corso del 2020 è stato riscontrato come i fenomeni di frode IVA (…) non abbiano risentito della contrazione generale dell’economia dovuta all’emergenza sanitaria da Covid-19(pag. 185).

Tali rilevazioni sono peraltro in linea con quanto dalla Corte dei Conti rilevato nel medesima Relazione relativa all’anno 2018. A quel tempo, il decremento dei reati tributari era riconducibile all’innalzamento delle soglie di punibilità e alla depenalizzazione dell’abuso del diritto stabiliti dalla riforma penale tributaria introdotta dal Governo Renzi. Nonostante tale dato di base, la Corte rilevava che il numero dei reati per omessi versamenti risultava sempre elevato: 425 per l’Iva (-37,2% rispetto al 2017) e 231 per ritenute certificate (-36,2%). E questo, evidenziano gli stessi giudici, anche «dopo l’innalzamento delle soglie di punibilità».

Per un approfondimento sul tema della frode IVA, si rimanda alla lettura dell’articolo Frode carosello.

Letta la norma e preso atto della non diminuita rilevanza dei fenomeni di omesso versamento IVA, esaminiamo più da vicino gli elementi costitutivi del reato in esame.

L’omesso versamento di IVA non è stato sempre un reato

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La presenza e la “vigenza”, nel nostro ordinamento giuridico, del reato di omesso versamento di IVA non è stata costante e lineare nel tempo.

A tal riguardo possiamo infatti individuare n. 3 fasi temporali:

  1. dal 01/01/1973 al 15/12/1982, l’omesso versamento di IVA era previsto come reato tributario dall’art. 50, DPR n. 600/’72, disposizione poi soppressa ad opera dell’art. 13, D.L. n. 429/1982, entrato in vigore il 16/12/1982;
  2. dal 16/12/1982 al 03/07/2006, ossia, per più di venti anni, l’omesso versamento di IVA ha rappresentato un semplice illecito amministrativo (art. 44, DPR n. 633/’72, art. 7, D.L. n. 852/’76, art. 13, D.Lgs. 471/1997);
  3. dal 04/07/2006, infine, l’omesso versamento di IVA è tornato a rappresentare “anche” un reato tributario sotto la vigenza dell’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000, introdotto dall’art. 35,  comma 7, D.L. n. 223/2006 (c.d. Decreto Bersani) e poi modificato ad opera dell’art. 8, D.Lgs. n. 158/2015

Gli elementi costitutivi del reato di omesso versamento di IVA

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Il reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000), sussiste se sussistono i due “elementi essenziali” del reato, vale a dire:

  • l’elemento oggettivo  del reato (o “fatto materiale”), nell’ambito del quale possiamo ricomprendere elementi costitutivi del reato più specifici come la “condotta”, la “soglia di punibilità” e il “momento consumativo”;
  • l’elemento soggettivo del reato (o “elemento psicologico”), che nel delitto in esame è rappresentato dal mero “dolo generico”

Pertanto, affinché nel caso concreto possa ritenersi realmente integrato il reato di omesso versamento di IVA, occorre prima verificare la presenza, nel caso medesimo, di tutti gli elementi costitutivi del reato qui di seguito indicati:

    1. soggetto attivo
    2. condotta
    3. soglia di punibilità
    4. momento consumativo
    5. elemento soggettivo

Esaminiamoli uno ad uno, tenendo presente il modo in cui ciascuno di tali elementi viene declinato nell’ambito della specifica norma incriminatrice (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00)

(a) Il soggetto attivo del reato

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(a.1) Chi può commettere il reato di omesso versamento di IVA?

Al di là della formula generica “chiunque” utilizzata dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000, il reato di omesso versamento di IVA può essere commesso solo da soggetti che rivestono una determinata qualità giuridico-economica: si tratta dei  c.d. soggetti passivi IVA (art. 1, DPR 633/’72), vale a dire, gli imprenditori (art. 4, DPR n. 633/’72), gli artisti e i professionisti (art. 5, DPR n. 633/’72).

Sono infatti i soggetti in questione che, nel porre in essere le c.d. “operazioni imponibili” IVA (art. 1, DPR n. 633/’72), ossia,  le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, maturano un corrispondente debito IVA (i.e. quella addebitata al cliente in fattura) che dovrà essere poi indicato nella dichiarazione annuale IVA e, quindi, versato all’Erario nei termini previsti dalla legge.

Quanto osservato, trova la sua conferma normativa nell’art. 17, comma 1, DPR n. 633/’72, ai sensi del quale “L’imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’erario (…)”.

…pertanto, il reato di omesso versamento dell’IVA può essere commesso da “chiunque”…tra i soggetti passivi IVA

Le categorie soggettive in esame (cedenti dei beni/prestatori di servizi) sono altresì destinatari degli obblighi formali e sostanziali IVA previsti dagli artt. 21 e ss. del DPR n. 633/’72 (i.e. fatturazione, registrazione, versamento dell’imposta a debito, ecc.), tra i quali, la presentazione della dichiarazione annuale IVA recante l’indicazione del debito IVA maturato nell’anno d’imposta. Quest’ultimo adempimento, per quanto accennato e per quanto si dirà nel prosieguo, risulta di particolare importanza ai fini dell’integrazione del reato in esame.

Quanto agli “imprenditori” (rectius, “esercizio di imprese”), sulla base di quanto previsto dall’art. 4, DPR n. 633/’72, possiamo ricomprendere in tale categoria gli imprenditori individuali, le società ed enti commerciali e gli enti non commerciali. Naturalmente, nel caso in cui il delitto in esame sia riconducibile ad una persona giuridica (società o ente collettivo in genere), la relativa responsabilità penale ricadrà sulla persona del legale rappresentante (i.e., amministratore, liquidatore, curatore fallimentare, ecc.) in forza del noto principio “societas delinquere non potest”.

Per quanto osservato, appare quindi chiaro che il reato di omesso versamento di IVA può riguardare sia persone fisiche (artisti, professionisti, imprenditori individuali) e sia persone giuridiche (ad es., la società nella persona del suo legale rappresentante).

Considerato, quindi, che non può essere commesso da “chiunque”, bensì solo dai soggetti aventi le suddette qualità, il reato in esame, sub specie iuris, si configura come reato proprio.

(a.2) L’omesso versamento di IVA nei casi di c.d. “reverse charge”  

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Come abbiamo appena visto, di regola, a commettere il reato di omesso versamento di IVA è il cedente dei beni o il prestatore di servizi, in quanto, “di regola”, sono tali soggetti a maturare il debito IVA da versare all’Erario (art. 17, comma 1, DPR n. 633/’72).

Tale “regola” subisce tuttavia una “eccezione” in quelle particolari ipotesi, previste e disciplinate dall’art. 17, DPR n. 633/’72, comma 2 e ss,  in cui vige il regime della c.d. “inversione contabile” (o “reverse charge”).

Nei casi in cui vige il regime di “inversione contabile” (reverse charge), il soggetto in capo al quale matura il debito IVA e i connessi obblighi formali e sostanziali IVA (es., fatturazione, dichiarazione annuale IVA, versamenti, ecc.) è il cessionario (dei beni)/committente (dei servizi). In queste ipotesi particolari, pertanto, sarà “solo” il cessionario/committente a poter commettere il reato di omesso versamento di IVA, al ricorrere di tutte le condizioni previste dall’art. 10 ter, DPR n. 74/’00.

Da un punto di vista degli adempimenti dichiarativi, si fa notare che, nelle ipotesi di reverse charge, i cessionari di beni e i committenti di servizi, saranno tenuti a compilare il “Quadro VJ” della dichiarazione annuale IVA inserendo i dati degli acquisti effettuati in regime di “inversione contabile”. In particolare, nell’ambito del “Quadro VJ”, l’ammontare complessivo dell’IVA dovuta sarà determinata nel Rigo VJ19.

Due osservazioni generali sul c.d reverse charge

In primo luogo, si fa notare che, nelle ipotesi di reverse charge, l’operazione IVA (cessione/prestazione) non viene posta in essere tra soggetto IVA (es., impresa) e consumatore finale (es., persona fisica) secondo l’ordinario schema di transazione IVA c.d. business-to-consumer (“B2C”). Nei casi di “inversione contabile”, infatti, l’operazione IVA avviene tra due soggetti IVA (es., tra due imprese, id est, tra due attività) secondo il modello c.d. business-to-business (“B2B”).

In secondo luogo, si ricorda che il particolare regime in esame può configurarsi in n. 2 modalità principali: (a) reverse charge “esterno”, per le operazioni di acquisto di beni e servizi UE o di prestazioni di servizi extra-UE; (b) reverse charge “interno”, per le operazioni di acquisto di beni o servizi, di particolari tipologie o settori, da soggetti passivi IVA residenti in Italia.

In entrambe le ipotesi, il cessionario/committente su cui graveranno gli obblighi IVA e al quale potrà quindi essere astrattamente ascritto il reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00), sarà un soggetto IVA residente.

(a.3) Il reato di omesso versamento di IVA commesso dal nuovo amministratore

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Il titolo del presente paragrafo descrive un caso che nella pratica è tutt’altro che infrequente.

Può accadere, infatti, che un soggetto succeda nell’amministrazione di una società e che poi si veda contestato il reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00) in relazione ad una situazione dove il debito IVA non pagato

  • si riferisca ad una dichiarazione annuale IVA sottoscritta e presentata dal precedente amministratore
  • sia in ogni caso maturato durante le gestione societaria del precedente legale rappresentante

Per tali ragioni, il nuovo legale rappresentante che si vede contestato il reato, è portato spesso a chiedersi se il delitto fiscale sia davvero ascrivibile alla sua persona e non invece al precedente amministratore

Ebbene, la Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza 15 gennaio 2021 (ud. 23 novembre 2020), n. 1729, richiamando sul punto la consolidata giurisprudenza della medesima Suprema Corte, ha ribadito la responsabilità penale per il reato di omesso versamento di IVA del nuovo amministratore, in entrambe le suddette circostanze.

In primo luogo la Suprema Corte chiarisce che a rispondere del reato è l’amministratore della società

la responsabilità per i reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è attribuita all’amministratore, individuato secondo le norme civilistiche di cui agli artt. 2380 e ss., artt. 2455 e 2475 c.c., cioè a coloro che rappresentano e gestiscono l’ente

In secondo luogo, con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione individua nel nuovo amministratore il responsabile del reato di omesso versamento di IVA in considerazione del fatto per cui è tale soggetto – e non invece il precedente legale rappresentante – ad integrare l’elemento oggettivo (condotta, soglia di punibilità e momento consumativo) e l’elemento soggettivo (elemento psicologico) del reato previsto e punito dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00

Quanto all’elemento oggettivo del reato, la Suprema Corte osserva che:

Il reato di omesso versamento Iva è un reato omissivo proprio che si consuma al momento della scadenza prevista dalla legge (termine per il versamento dell’acconto per l’anno successivo) sulla base della dichiarazione Iva. L’imputato, al momento della scadenza del termine per compiere il versamento (…) era il legale rappresentante della società

A nulla rileva, infatti, che fosse diverso il soggetto che era legale rappresentante (…) quando si era formato il debito, dal momento che ciò che rileva è la circostanza che [il ricorrente], al momento della scadenza del termine per il versamento, era il soggetto su cui grava l’obbligazione tributaria la cui omissione integra il reato contestato”

In altri termini, la Cassazione ha inteso evidenziare che è al nuovo amministratore che sono riconducibili gli elementi:

    • della “condotta”, data dall’omesso versamento di un debito IVA annuale risultante da una dichiarazione annuale già presentata e, soprattutto, dal fatto per cui tale condotta omissiva è attribuibile “esclusivamente” al nuovo amministratore, in quanto è lui che concretizza l’omesso versamento alla scadenza prevista dalla legge, non il precedente amministratore. Occorre infatti ricordare che quello in esame è un “reato omissivo proprio” , ossia, caratterizzato da una condotta omissiva propria.
    • della “soglia di punibilità”, vale a dire, il fatto per cui l’importo del debito IVA indicato nella dichiarazione annuale già presentata sia superiore alla soglia di rilevanza penale di cui all’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00
    • del “momento consumativo”, consistente nel fatto per cui il debito IVA in questione non sia stato versato entro il 27 dicembre dell’anno in questione, ossia, entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto (IVA) relativo all’anno successivo. Ebbene, per quanto osservato, alla predetta scadenza del termine per il versamento il legale rappresentante era il nuovo amministratore e non quello uscente.

Quanto, invece, all’elemento soggettivo del reato (o “elemento psicologico”), la Suprema Corte nella sentenza rileva che:

…questa Corte di legittimità ha già affermato che, nel caso di successione nella carica di amministratore di società/legale rappresentante in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del termine fissato per l’adempimento dell’obbligo tributario di versamento, sussiste la responsabilità, per i reati tributari connessi all’omesso versamento di imposte dovute, di colui che succede nella carica dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima del termine ultimo per il versamento della stessa (Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Alfieri, Rv. 264882; Sez. 3, n. 39687 del 4.6.2014, Decataldo, Rv. 260390), e ciò sul rilievo dell’assenza di compimento del previo controllo di natura prettamente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali che comporta la responsabilità quantomeno a titolo di dolo eventuale

Anticipando quanto verrà illustrato successivamente in tema di “elemento soggettivo” del reato, si rileva che il c.d. “dolo eventuale” , nel diritto penale, identifica un elemento psicologico che si pone ai confini con la “colpa”. Esso infatti consiste nell’accettare il rischio (id est, l’eventualità) che un evento si verifichi.

Ora, come rilevato nella sentenza in commento

l’assunzione della carica di amministratore, per comune esperienza, comporta una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove ciò non avvenga, risponde dei reati tributari in materia di mancato versamento di imposte, colui che subentra nella carica sociale/legale rappresentanza in un momento successivo alla formazione del debito, in quanto con l’assunzione della carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Sulla scorta di tali principi, la corte territoriale ha argomentato la prova dell’elemento soggettivo del reato

Secondo la Suprema Corte, pertanto, il nuovo amministratore che, contestualmente alla successione al precedente legale rappresentante o in un momento immediatamente successivo, abbia omesso di effettuare anche la “minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi” , da atto di farsi volontariamente carico del rischio (i.e., eventualità) che si verifichi l’evento rappresentato dall’omesso versamento, entro il 27/12 di ogni anno, di un debito IVA annuale già indicato in dichiarazione per un ammontare superiore alla soglia rilevanza penale . Per tale ragione, risulta integrato l’elemento soggettivo dato dal c.d. “dolo eventuale”.

(b) La condotta del reato di omesso versamento di IVA

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Quella richiesta dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00 è una condotta di tipo omissivo.

Infatti, commette il reato de quo il contribuente che, alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo d’imposta successivo (ad es., entro il 27/12/23 dovrà essere versato l’acconto IVA relativo all’anno d’imposta 2024), “non versa” il debito IVA indicato nella “dichiarazione annuale” precedentemente presentata (ad es., la dichiarazione IVA 2023 per l’anno d’imposta 2022), nell’ipotesi in cui tale debito sia di ammontare superiore ad euro 250.000.

Ad un più attento esame, possiamo notare che la fattispecie criminosa delineata dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00 risulta composta da 2 elementi tra loro concettualmente contrapposti, di cui il secondo presuppone, da un punto vista temporale e logico-giuridico, l’esistenza del primo:

  1. il previo adempimento di un obbligo previsto dalla legge, ossia, l’avvenuta regolare presentazione della dichiarazione annuale (IVA) indicante il debito IVA
  2. il successivo non adempimento di un obbligo previsto dalla legge, ossia, l’omesso versamento del debito IVA indicato nella dichiarazione presentata entro i termini di legge

Sebbene entrambi necessari per la configurazione della fattispecie criminosa descritta dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00, i 2 elementi rivestono tra loro un’importanza ben diversa nell’ottica della corretta integrazione della condotta propria del reato

Mentre, infatti, la presentazione della dichiarazione annuale recante l’indicazione di un “totale IVA dovuta” superiore alla “soglia di punibilità” di euro duecentocinquantamila (€. 250.000) rappresenta il presupposto logico-giuridico della condotta di omesso versamento, è solo quest’ultimo elemento che, sub specie iuris, integra e realizza la “condotta omissiva propria” del reato di omesso versamento di IVA. In altri termini, la condotta vera e propria del reato deve considerarsi realizzata semplicemente dall’omettere di versare “l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale”.

La condotta propria del reato, peraltro, aiuta altresì ad identificare il “soggetto attivo” della stessa, vale a dire quel “chiunque non versa” indicato nell’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00.

In questo soggetto e non in altri, infatti, deve essere identificato il responsabile del reato (c.d. soggetto attivo del reato).

Quest’ultimo aspetto, peraltro, è stato ripetutamente sottolineato dalla giurisprudenza della Sezione Penale della Corte di Cassazione (vd. ex multis, sentenza 15 gennaio 2021 n. 1729), la quale, davanti alla successione di 2 soggetti nell’amministrazione di una società, ha stabilito che la responsabilità penale per il reato di omesso versamento di IVA deve essere ascritta solo in capo al “nuovo amministratore”, ossia, al legale rappresentante subentrato al precedente. Ciò, in quanto, nella fattispecie decisa dal Supremo Collegio, è il “nuovo amministratore” ad essersi reso colpevole di non aver versato, entro la scadenza dell’acconto relativo all’anno successivo (27/12), il debito IVA indicato nella dichiarazione fiscale presentata dal precedente amministratore.

Premesso quanto sopra, appare utile svolgere qualche ulteriore considerazione sul “presupposto della condotta” criminosa rappresentato dalla presentazione della dichiarazione annuale IVA.

(b.1) Può esserci reato di omesso versamento di IVA solo se la dichiarazione è stata presentata

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In primo luogo, ai fini della configurazione del reato di omesso versamento di IVA, la norma incriminatrice (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00), richiede che una dichiarazione annuale IVA sia stata presentata.

La prima verifica da svolgere riguarda, pertanto, l’avvenuta presentazione della dichiarazione fiscale.

Giocoforza, il reato di omesso versamento di IVA deve ritenersi non sussistere  in caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA

In particolare, si ritiene che l’omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA (a cui viene parificata la dichiarazione presentata oltre i 90 gg. dalla scadenza) impedisce l’integrazione del reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00), potendo invece configurare il diverso reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5, D.Lgs. n. 74/’00. Quest’ultimo reato si ritiene non possa “logicamente” concorrere con il primo: infatti, se la dichiarazione IVA è stata omessa, viene conseguentemente a mancare la necessaria indicazione numerico-formale (in dichiarazione!) di quel debito IVA il cui successivo omesso versamento avrebbe potuto integrare, al superamento della soglia di punibilità, il reato di omesso versamento di IVA.

(b.2) Il reato di omesso versamento di IVA emerge dal “Rigo VL38” della dichiarazione

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In secondo luogo, appurata l’avvenuta presentazione della dichiarazione annuale IVA, occorre verificare che in essa sia indicato il debito IVA e, in particolare, che sia indicato per un ammontare superiore alla soglia di punibilità (o “soglia di rilevanza penale”), dal vigente art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00 indicata in Euro 250.000.

Premesso quanto sopra, è necessario poi sapere dove, esattamente, all’interno della dichiarazione annuale IVA (c.d. “Modello IVA”), è presente l’indicazione dell’importo del debito IVA rilevante ai fini del reato in esame.

A tal proposito, occorre innanzitutto tener presente che la redazione della dichiarazione annuale IVA si concretizza nella compilazione del c.d. Modello IVA (ad es., 2022) approvato e messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, seguendo le istruzioni per la compilazione (ad es., 2022) predisposte annualmente dal medesimo Ufficio.

Seguendo le istruzioni per la compilazione, apprendiamo che il Quadro VL del Modello Iva, è dedicato alla liquidazione dell’imposta annuale.

Il Quadro VL, a sua volta, è composto da n. 3 sezioni. Ogni sezione comprende determinati “righi”, ciascuno dei quali recante l’indicazione di un valore numerico rilevante ai fini dell’operazione complessiva di liquidazione dell’imposta annuale.

In particolare, la liquidazione dell’imposta annuale IVA è data dalla differenza

  • tra debiti Iva (rigo VL3 e da rigo VL20 a VL23)
  • e crediti Iva (rigo VL4, VL11, campo 1, e da rigo VL24 a VL31).

Il risultato di tale differenza potrà portare, alternativamente, all’individuazione

  • di una IVA a debito annuale (rigo VL32)
  • di una IVA a credito annuale (rigo VL33)

Per maggiori dettagli in merito all’operazione di liquidazione dell’imposta annuale (IVA), si rinvia a quanto indicato nelle istruzioni di compilazione del Modello IVA e, in particolare, del Quadro VL (cfr. pag. 41 e ss. delle istruzioni per la compilazione IVA 2022).

Ora, ai fini della verifica dell’eventuale superamento della soglia di rilevanza penale (€. 250.000) e, quindi, dell’eventuale integrazione del reato di omesso versamento di IVA, occorre prendere a riferimento il totale dell’IVA dovuta indicata nel Rigo VL38, che a sua volta si ricava:

    • sottraendo al dato indicato al rigo VL32 (totale IVA a debito) i crediti eventualmente utilizzati (VL34 + VL35) e
    • sommando gli interessi trimestrali dovuti (VL36).

Il Rigo VL38 è quello evidenziato nell’immagine sotto riportata, estratta dal Modello Iva reperibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate.

reato-di-omesso-versamento-di-iva-rigo-VL38

(Fonte: https://www.agenziaentrate.gov.it)

NB: il “Rigo VL3” è un mero “rigo intermedio” !

In un recente caso arrivato al vaglio della Suprema Corte, il Tribunale cautelare di Pordenone, aveva accolto l’appello interposto dal pubblico ministero contro l’ordinanza con la quale il G.I.P. non aveva accolto la richiesta di sequestro preventivo. Il Tribunale cautelare, quindi, applicava   la misura cautelare reale finalizzata alla confisca del profitto, diretta e per equivalente, in relazione al reato di omesso versamento di IVA per l’anno 2018 (Modello IVA 2019 e correlate istruzioni per la compilazione). Preme qui rilevare che la Corte di merito aveva accolto l’impostazione dell’accusa (P.M.) secondo cui l’indicazione numerica del reato di omesso versamento di IVA dovesse ricavarsi dal “rigo VL3” della dichiarazione annuale IVA.

Chiamata a pronunciarsi sul caso…

la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31367/2021, depositata il 10.08.2021

…ha rigettato la suddetta impostazione, statuendo che:

Ad avviso del Collegio, questa conclusione è errata, essendo invece ictu oculi evidente – come il ricorrente afferma – che il suddetto VL3 è un mero “rigo intermedio” della dichiarazione, attestante l’IVA a debito maturata nell’anno d’imposta, e non già quella che rileva ai fini dell’applicazione della norma incriminatrice, che, invece, è «l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale» (corsivo nostro), vale a dire quella risultante tenendo conto, tra l’altro, dei versamenti periodici effettuati in base a quanto riferito nella stessa dichiarazione.

In particolare, al successivo punto 3 della sentenza, la Suprema Corte sottolinea che:

l’imposta dovuta, di regola, è proprio quella indicata nel rigo VL38 di tale dichiarazione…

Facendo propria tale impostazione, la Suprema Corte ha nel caso pratico  riconosciuto il valore “sotto soglia” del debito IVA indicato in dichiarazione, rilevando che:

Ed invero, è nella specie pacifico che nella dichiarazione annuale IVA presentata per l’anno 2018 il contribuente si fosse riconosciuto debitore soltanto della somma di €. 2.504,00, indicata al rigo VL38 (“totale IVA dovuto”), pari alla differenza tra l’imposta a debito maturata nell’anno (€. 320.196: rigo VL3 della dichiarazione) e quella dichiarata come versata in sede di acconti periodici (€. 317.682: rigo VL30).

La pronuncia in esame è altresì di grande interesse, in quanto, nel tessere l’iter logico-giuridico posto al centro della propria indicazione motiva, ribadisce ulteriori importanti principi in tema di reato di omesso versamento di IVA.

Diamo pertanto “uno sguardo” a tali ulteriori rilievi nei paragrafi che seguono

(b.3) Nel reato di omesso versamento di IVA conta il debito IVA “dichiarato” e non quello “effettivo”

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Spesso nel diritto viene invocato il noto principio di “prevalenza della sostanza sulla forma”. Ebbene, stando alle indicazioni della Suprema Corte, ai fini dell’accertamento del reato in esame, sembrerebbe valere il principio contrario.

Infatti, secondo la Corte di Cassazione, ai fini della configurazione del reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00) rileva unicamente l’imposta “dichiarata” nel rigo VL38 della dichiarazione annuale IVA e non, invece, quella “effettiva” risultante dalle scritture contabili.

A tal proposito, il Supremo Collegio, nella citata sentenza n. 31367/2021, sottolinea che:

…ciò che rileva ai fini dell’integrazione del reato è proprio – e soltanto – l’importo “dichiarato dovuto”

In particolare, in un punto successivo della pronuncia sopra menzionata, la Corte di Cassazione specifica che:

Si è infatti affermato che ai fini della integrazione del reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, l’entità della somma da versare, costituente il debito IVA, è quella risultante dalla dichiarazione del contribuente e non quella effettiva, desumibile dalle annotazioni contabili (Sez. 3, n. 14595 del 17/11/2017, dep. 2018, Strada, Rv. 272552) e l’imposta dovuta, di regola, è proprio quella indicata nel rigo VL38 di tale dichiarazione, potendo, tuttavia, il giudice prescindere da tale importo, se esso non è giustificato dall’esame formale della dichiarazione stessa (Sez. 3, n. 2563 del 18/05/2018, dep. 2019, Frucella, Rv. 275686).

Sulla stessa linea, si pone la medesima Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30677/2021, con la quale osserva:

Ai fini della integrazione del reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l’entità della somma da versare, costituente il debito IVA, è quella risultante dalla dichiarazione del contribuente e non quella effettiva, desumibile dalle annotazioni contabili (così Sez. 3, n. 14595 del 17/11/2017, dep. 2018, Strada, Rv. 272552 – 01).

Non importa, quindi, che l’imposta “dichiarata” non sia veritiera, ossia, non corrisponda all’imposta “effettiva” risultante dalla contabilità del soggetto passivo IVA. Se al “rigo VL38” della dichiarazione annuale IVA (Modello IVA) risulta indicato un totale IVA dovuta pari ad un importo non superiore ad €. 250.000 (soglia di punibilità ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/00), il reato di omesso versamento IVA non sussiste!

Peraltro, sottolinea la Suprema Corte, per escludere la sussistenza del reato di omesso versamento di IVA è sufficiente che al “rigo VL38” del Modello IVA presentato dal contribuente risulti indicata un’IVA dovuta annuale di ammontare non superiore alla soglia di rilevanza penale, risultando invece del tutto irrilevante che la medesima imposta dichiarata possa essere rideterminata “in aumento” ad esito di accertamenti fiscali e/o verifiche in corso da parte delle autorità fiscali (Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza).

La pronuncia, sul punto, rileva infatti che:

la sussistenza del reato in relazione al superamento della soglia di rilevanza penale deve risultare ictu oculi evidente dalla dichiarazione presentata e non può postulare l’esito di un accertamento d’indagine aliunde espletato

In senso conforme, vd. Cassazione, sentenza n. 31367/2021, depositata il 10/08/2021.

Pertanto, la verifica del superamento della soglia di rilevanza penale relativa al reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. 74/2000), va condotta prendendo a esclusivo riferimento la dichiarazione annuale IVA presentata. Un’indagine di questo tipo, invece, non potrà basarsi su quanto indicato in un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.

Premesso quanto sopra, occorre tuttavia sottolineare che l’eventuale non veridicità di quanto indicato in dichiarazione può avere conseguenze penali non meno rilevanti di quelle conseguenti alla commissione del reato in esame.

Infatti, come verrà rilevato nel paragrafo che segue…

(b.4) Il reato di omesso versamento di IVA può concorrere con i reati in materia di dichiarazione (artt. 2, 3 e 4, D.Lgs. n. 74/’00)

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Qualora l’Amministrazione finanziaria (i.e., Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza) accerti che l’imposta “dichiarata” non corrisponde all’imposta “effettiva” risultante dalla contabilità del soggetto o, in ogni caso, faccia emergere il carattere falso o non veritiero di quanto indicato nel Modello IVA, si possono configurare, alternativamente, le seguenti 2 situazioni:

  1. l’importo indicato al rigo VL38 della dichiarazione annuale IVA non è superiore alla “soglia di punibilità” ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00 (€. 250.000), ma lo stesso importo ed, eventualmente, altri elementi indicati in dichiarazione, vengono dimostrati essere falsi o comunque non trovare riscontro nella contabilità del soggetto accertato dalle autorità fiscali. In questa ipotesi non sussisterà il reato di omesso versamento di IVA ma, al ricorrere delle condizioni previste dalla legge, ben potranno risultare integrati i reati tributari in materia di dichiarazione, ossia:
  2. l’importo indicato al rigo VL38 della dichiarazione annuale IVA è superiore alla “soglia di punibilità” ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00 (€. 250.000), ma lo stesso importo ed, eventualmente, altri elementi indicati in dichiarazione, vengono dimostrati essere falsi o comunque non trovare riscontro nella contabilità del soggetto accertato dalle autorità fiscali. In questa ipotesi dovrà innanzitutto ritenersi integrato il reato di omesso versamento di IVA. Tale reato, tuttavia, al sussistere delle condizioni previste dalla legge, potrà concorrere con i predetti reati di materia di dichiarazione previsti dagli artt. 2, 3 e 4, D.Lgs. n. 74/’00

Tale ricostruzione risulta essere stata confermata dalla Corte di Cassazione con la menzionata sentenza n. 31367/2021, depositata il 10.08.2021, nella quale il Supremo Collegio, riferendosi all’Erario, osserva che:

Laddove quest’ultimo dimostri che la dichiarazione presentata è falsa, sussistendone gli estremi ricorreranno le ipotesi di reato dichiarative previste dagli artt. 2, 3 o 4 d.lgs. 74/2000, le quali potranno anche concorrere con il reato di omesso versamento, ma soltanto laddove questo sia, nella sua materialità, sussistente, vale a dire quando la dichiarazione di per sé indichi (quantomeno) un’imposta dovuta superiore alla soglia di non punibilità che non sia poi di fatto versata.

In altri termini, secondo la pronuncia in esame…

laddove la diversa quantificazione dell’imposta sia effettuata in forza di accertamenti sostanziali sulla non corrispondenza al vero delle voci attive e passive in essa indicate saranno eventualmente ravvisabili i più gravi reati di cui agli artt. 2, 3, e 4 del d.lgs. n. 74 del 2000.

Con riguardo al caso specifico – come quello oggetto della pronuncia in commento – in cui la dichiarazione annuale IVA contenga “indicazioni obiettivamente false”, la Suprema Corte rileva che, ricorrendone gli estremi, può ben sussistere il delitto dichiarativo di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000 (Dichiarazione infedele), il quale, precisano gli Ermellini, oltre alla indicazione di “elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo”

…ricorrendo il richiesto dolo specifico di evasione, punisce l’indicazione nelle dichiarazioni annuali di «elementi passivi inesistenti».

Peraltro, con riguardo agli «elementi atti e passivi» menzionati dalla norma incriminatrice (art. 4, D.Lgs. n. 74/’00), la pronuncia precisa che

Ed invero, per quanto qui rileva, l’art. 1, lett. b, d.lgs. 74/2004 prevede che per «elementi “attivi o passivi” si intendono le componenti, espresse in cifra, che…incidono sulla determinazione dell’imposta dovuta»

(c) La soglia di punibilità nel reato di omesso versamento di IVA

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L’omesso versamento del debito IVA indicato in dichiarazione, di per sé, non costituisce reato, bensì un mero illecito amministrativo, punito ai sensi dell’art. 13, D.Lgs. n. 471/1997 mediante l’applicazione di una “sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato”. In quanto tale, sarà contestabile dall’Agenzia delle Entrate (Ente impositore) ma non anche dalla Procura della Repubblica.

L’omissione acquisisce invece “rilevanza penale” e, quindi, fa emergere il reato in esame, solo quando l’ammontare del debito IVA omesso, nel singolo periodo d’imposta considerato, sia superiore alla c.d. “soglia di punibilità” attualmente indicata dall’art. 10 ter, D.Lgs. 74/’00 in €. 250.000,00 (Euro duecentocinquantamila).

In particolare, ai fini della configurazione del reato, il calcolo dell’imposta omessa deve essere “specifico”:

    • sia con riguardo al tipo di tributo, che deve riguardare esclusivamente l’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), senza considerare quindi nella somma gli importi relativi, ad es., alle imposte dirette, ai contributi previdenziali e assistenziali, ecc. Tale considerazione potrebbe risultare tutt’altro che scontata, considerato che, in tema di “adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto”, l’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997 stabilisce espressamente che “I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti”;
    • sia con riguardo al periodo d’imposta, che deve essere quello stabilito ai fini IVA, potendo questo anche non coincidere con quello relativo alle imposte dirette

Con riguardo invece alla verifica del superamento della soglia di punibilità, il calcolo del debito IVA omesso deve essere eseguito:

    1. prendendo a riferimento l’importo dell’IVA a debito indicata nella dichiarazione annuale
    2. scomputando gli acconti periodici IVA eventualmente già versati
    3. senza sommarci interessi e sanzioni di natura tributaria

(c.1) L’innalzamento della soglia di punibilità

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Sino a pochi anni fa era “molto più facile” incorrere nel reato di omesso versamento di IVA. Ciò in quanto la versione dell’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00 in vigore dal 04/07/06 al 21/10/15, prevedeva una soglia di punibilità pari ad appena €. 50.000,00 (Euro cinquantamila). Peraltro, la precedente versione della disposizione indicava tale minor soglia di punibilità “non espressamente”, bensì tramite rinvio al testo dell’art. 10 bis, D.Lgs. n. 74/’00 pro tempore vigente in tema di omesso versamento di ritenute.

Successivamente, il D.Lgs. 158/2015 ha disposto l’innalzamento delle soglie di punibilità, sia con riguardo al reato di omesso versamento di ritenute (art. 10 bis, D.Lgs. n. 74/’00 – da €. 50.000 a €. 150.000) e sia con riguardo al reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00 – da €. 50.000 a €. 250.000).

La novella legislativa, oltre ad aver naturalmente prodotto effetti per i “futuri reati” di omesso versamento di IVA, ha avuto un non trascurabile impatto anche nei riguardi dei “reati già commessi e contestati” mediante provvedimenti di condanna ormai definitivi

La c.d. “abolitio criminis” parziale

Come ha sottolineato la 3° Sezione Penale della Suprema Corte, con la sentenza n. 10810 del 12/03/12, l’avvenuta modifica degli art. 10 bis e 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00, con l’innalzamento delle rispettive soglie di punibilità

ha determinato una “abolitio criminis” parziale con riferimento alle condotte aventi ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, commesse in epoca antecedente

La logica conseguenza è che gli omessi versamenti IVA (passati e futuri) che non dovessero superare, nel loro ammontare, la nuova e più elevata soglia di punibilità, continuerebbero a rilevare come meri illeciti amministrativi.

Peraltro, nella sentenza sopra menzionata, la Corte di Cassazione riconosce che trova “applicazione nella specie l’articolo 2 c.p., comma 2, e articolo 673 c.p.p., così confermando che il fenomeno di parziale depenalizzazione produce effetti non solo per il futuro ma anche con riguardo ai procedimenti penali già definiti con provvedimenti di condanna. Questi ultimi potranno infatti essere revocati su istanza di parte ex art. 673, comma 1, cpp.

(c.2) La “particolare tenuità del fatto” esclude la punibilità del reato di omesso versamento di IVA

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Il superamento della “soglia di punibilità” ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00 fa sorgere il reato di omesso versamento di IVA. Tuttavia, non è detto che il responsabile venga punito.

Infatti, se è vero che

l’omesso versamento del debito IVA indicato nella dichiarazione annuale per un importo superiore alla soglia di punibilità ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00 (€. 250.000) fa sorgere il reato di omesso versamento di IVA, vale a dire, fa passare il medesimo omesso versamento da mero illecito amministrativo (art. 13, D.Lgs. n. 471/1997) a reato penale,

è altresì vero che

se l’omesso versamento IVA è considerabile come comportamento “non abituale” (ad es., riguarda un solo periodo d’imposta) e il superamento della soglia di punibilità (o soglia di rilevanza penale – €. 250.000) è esiguo e comunque inferiore al 10% (ossia, inferiore a €. 25.000), il reato non è punibile in forza della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. (c.d. particolare tenuità del fatto), così come applicata al delitto in esame dalla più recente giurisprudenza di legittimità.

Difatti, l’art. 131 c.p. prevede la esclusione della punibilità del reato per particolare tenuità del fatto al ricorrere di n. 3 requisiti fondamentali, vale a dire quando:

  1. è prevista la (a) pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero (b) quando è prevista la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva e sempre che, applicando i meccanismi di ragguaglio contemplati dall’art. 135 c.p., non risulti superato il predetto limite di 5 anni (c.d. limite edittale)
  2. l’offesa è di particolare tenuità, ossia, il danno o il pericolo derivante dal reato è esiguo
  3. il comportamento risulta non abituale, ossia, il soggetto risulta non aver reiterato nel tempo la condotta tipica del reato. Viceversa, secondo la Suprema Corte il requisito della “non abitualità” viene meno se l’agente ha commesso “più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima “ratio punendi”), anche nell’ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità” (Cass. pen., Sez. III, 11 gennaio 2018, n. 776).

In tal senso si è infatti espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3256/2021

La Suprema Corte, con particolare riguardo al caso di specie, dopo aver premesso che:

La causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., infatti, è stata negata dalla Corte di appello in ragione dell’entità dell’IVA evasa, pari a 271.963,00 euro, con uno “sforamento”, dunque, di 21.963,00 euro rispetto alla soglia di punibilità; il Tribunale, concludendo in termini opposti, aveva invece valorizzato, per un verso, lo stesso elemento oggettivo, allora però definito “modesto”, e, per altro verso, il comportamento del F., qualificato come “non abituale”, dato che la contestazione in esame concerneva soltanto l’anno di imposta 2011.

ha stabilito che:

Tanto premesso, ritiene la Corte che la pronuncia di appello non si sia confrontata con tutti gli argomenti che il primo Giudice aveva indicato a sostegno della propria decisione, richiamandone soltanto uno e senza neppure menzionare gli altri, valorizzati dal Tribunale con pari grado di rilevanza e con particolare riferimento alla abitualità della condotta. E senza che, diversamente, si possa sostenere che l’indice riscontrato con riguardo all’unico fattore esaminato – ossia l’entità del superamento della soglia – sia di tale portata da esimere il Collegio dalla verifica degli altri; una misura inferiore al 10%, infatti, non si manifesta di tale rilievo da soverchiare ogni altra valutazione dei criteri indicati dallo stesso art. 131-bis cod. pen.

In senso conforme, vd. Cass. pen., Sez. 3, sentenza n. 21258/2022 e sentenza n. 40774/2015.

(d) Il momento consumativo del reato di omesso versamento di IVA

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Quando il reato di omesso versamento di IVA può dirsi realizzato “sotto l’aspetto temporale”, id est, quando può ritenersi “consumato”?

La risposta risiede nell’incipit del presente articolo, dove ho enfaticamente esordito con <<Allo “scoccare della mezzanotte” del prossimo 27 dicembre 2023, verrà considerato “commesso” (rectius “consumato”) ogni reato di omesso versamento di IVA in relazione all’anno d’imposta 2022!>>

Il momento consumativo del reato di omesso versamento di IVA coincide, quindi, con lo spirare del termine del 27 dicembre dell’anno in cui è stata presentata la dichiarazione annuale relativa al pregresso periodo d’imposta.

Infatti, per tornare all’incipit del presente articolo, il 2023 rappresenta l’anno in cui il contribuente (soggetto passivo IVA) avrebbe dovuto presentare la dichiarazione annuale IVA 2023, relativa all’anno d’imposta 2022.

Tale “valico temporale” al delitto, viene testualmente individuato dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00 nella parte in cui rileva che commette il reato chiunque non versa il debito IVA risultante dalla dichiarazione annuale “entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo”. A sua volta, il termine per il versamento dell’acconto IVA è individuato dall’art. 6, comma 2, L. 29/12/1990 n. 405, nella parte in cui stabilisce che “i contribuenti sottoposti agli obblighi di liquidazione e versamento” previsti dalla normativa IVA (DPR n. 633/’72) “devono versare entro il giorno 27 del mese di dicembre, a titolo di acconto (…)”.

Esempio

Prendendo a riferimento il corrente anno 2023, il reato di omesso versamento di IVA dovrà considerarsi consumato ogni qual volta il debito IVA indicato nella dichiarazione annuale IVA 2023 (anno d’imposta 2022), presentata entro il 30 aprile 2023 (o entro 90 gg da tale scadenza), in misura superiore alla soglia di punibilità pari ad €. 250.000, non venga versato entro il 27 dicembre 2023, vale a dire, entro il termine di scadenza stabilito per il versamento dell’acconto IVA relativo all’anno 2024.

L’esempio svolto ci permette di muovere la considerazione pratica per cui, di regola, l’anno di consumazione del reato di omesso versamento di IVA coincide:

  • con l’anno di presentazione della dichiarazione annuale IVA da cui risulta il debito IVA (sopra soglia) non versato, salvo il caso di dichiarazione tardiva;
  • con l’anno di versamento dell’acconto IVA relativo all’anno successivo

(d.1) La natura istantanea del reato di omesso versamento di IVA

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Il fatto per cui il momento consumativo del reato coincide con lo spirare del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, attesta la natura istantanea del reato di omesso versamento di IVA.

A tal proposito, la Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza 30677/2021 ha rilevato che:

Il delitto ex art. 10- ter, d.lgs. n. 74 del 2000 è un reato omissivo ed istantaneo: si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo; ciò che rileva è, quindi, l’indicazione nella dichiarazione di un debito d’imposta e l’inadempimento alla conseguente e corrispondente obbligazione di pagamento.

Dalla natura istantanea del reato, a sua volta, deriva l’assoluta irrilevanza:

    1. ai fini dell’integrazione del reato, degli omessi versamenti IVA infra-annuali verificatisi prima e sino al 27/12 di ogni anno;
    2. ai fini dell’eventuale estinzione del reato, dei versamenti IVA effettuati dopo il 27/12 di ogni anno.

Esaminiamo tali 2 aspetti un po’ più da vicino

(d.2) L’irrilevanza degli omessi versamenti infra-annuali ai fini del reato di omesso versamento di IVA

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Non integrano il reato di omesso versamento di IVA gli omessi o tardivi versamenti periodici infra-annuali (ad es., gli omessi versamenti dell’IVA mensile o trimestrale) accumulatisi “sino e non oltre” il 27/12 di ogni anno, anche se, per ipotesi, l’importo complessivo di tali omessi/tardivi versamenti dovesse superare la soglia di rilevanza penale ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00. A tal riguardo, la Suprema Corte ha precisato che gli omessi versamenti dell’Iva periodica non rappresentano frazioni anticipate della fattispecie incriminata (Cfr. Cassazione, Sez. 3, sentenza n. 8352 del 24.06.2014).

Emblematico è quanto a tal proposito statuito dalla Corte di Cassazione, Sez. III, con la sentenza n. 38619 del 14/10/10

Il reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000 si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, non essendo sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenza previste. Per integrare il reato è invece necessario che l’omissione del versamento IVA si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento, giusta quanto disposto dall’art. 6, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 405

(d.3) L’irrilevanza dei versamenti successivi al 27/12 ai fini del reato di omesso versamento di IVA

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Qualora il debito IVA risultante dalla dichiarazione annuale, in misura superiore alla “soglia di punibilità” (€. 250.000), non venga versato alla scadenza prevista dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00 (i.e., il 27/12 di ogni anno), il reato di omesso versamento di IVA deve considerarsi  orami “consumato”, id est, giuridicamente integrato. Una volta venuto ad esistenza, il reato non è poi suscettibile di venir meno e/o essere estinto ad opera di eventuali versamenti IVA effettuati successivamente al 27/12.

Tuttavia, detti versamenti successivi al 27/12 conservano un peso non indifferente in sede di punibilità del reato. Di tale aspetto, tuttavia, tratteremo nel prosieguo dell’articolo.

(e) L’elemento soggettivo del reato di omesso versamento di IVA

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Oltre agli aspetti che compongono il c.d. elemento oggettivo del reato (o fatto materiale), così come illustrati nei paragrafi precedenti (condotta, soglia di punibilità e momento consumativo), ai fini della reale integrazione del delitto in esame, occorre altresì verificare l’esistenza, nel caso concreto, del c.d. elemento soggettivo del reato (o “elemento psicologico”). Si tratta dell’insieme di quegli elementi che identificano il grado di volontà psicologica di un determinato soggetto nella commissione di un evento costituente reato.

Ora, essendo il reato di omesso versamento di IVA un “delitto”, l’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione del reato è il “dolo” e, in particolare, il c.d. …

“Dolo generico”

Ciò sta a significare che per commettere il reato di omesso versamento di IVA:

  • è sufficiente il “dolo generico”, per il quale basta la mera coscienza e volontà di omettere il versamento del debito IVA indicato nella dichiarazione annuale, in misura superiore ad €. 250.000, in relazione al singolo periodo d’imposta oggetto della dichiarazione medesima. In altri termini, sono sufficienti la semplice rappresentazione e volontà di omettere il versamento del debito IVA indicato nella dichiarazione annuale e di ometterlo per un ammontare superiore alla soglia di punibilità prevista dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00. Richiedere la sussistenza del “dolo generico”, in estrema sintesi, significa pretendere nell’agente la “volontà dell’evento”, rimanendo invece del tutto irrilevante, il “fine” o il “motivo” per cui lo vuole. E’ il caso, appunto, del reato in esame;

      • la prova del dolo è fornita implicitamente dall’avvenuta presentazione della dichiarazione annuale indicante un debito IVA superiore alla soglia di rilevanza penale (€. 250.000);

  • non è invece richiesto il c.d. “dolo specifico di evasione”, vale a dire, la volontà e l’intenzione di evadere l’imposta. Con il “dolo specifico”, infatti, la legge richiede, oltre alla volontà dell’evento, un fine ulteriore, a prescindere dal suo effettivo realizzarsi. E’ il caso delle “frodi IVA” c.d. “frodi carosello”. In questi casi, l’agente “vuole l’evento” (omesso versamento del debito IVA) per un determinato “fine” (evadere l’imposta).

In linea generale, una volta che ha presentato la dichiarazione annuale, il soggetto non potrà poi addurre di non aver potuto versare il debito IVA in essa indicato a causa di una crisi di liquidità. Più in particolare, egli non potrà far genericamente leva sulla crisi di liquidità al fine di escludere la sussistenza dell’elemento psicologico del reato (dolo generico). Infatti, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la crisi di liquidità può escludere l’elemento soggettivo del reato di omesso versamento di IVA solo in ipotesi particolari e quando ricorrono specifiche condizioni. Di tali ipotesi si dirà in seguito.

Quanto sin qui evidenziato in merito all’elemento soggettivo (psicologico) del reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000), trova conferma nella sotto riportata sentenza della Suprema Corte.

Corte di Cassazione Penale, Sez. 3, sentenza n. 19630/2022

il reato è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte; la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto; il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili.

Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.

Vi sono tuttavia delle ipotesi in cui può venir meno anche la mera “coscienza e volontà dell’evento”, ossia,  l’elemento psicologico del reato in commento,  come quando si verifica il c.d. “errore sul fatto”

(e.1) L’errore sul fatto fa venir meno l’elemento psicologico del reato (Cass. sent. 22 gennaio 2014, n. 2882)

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Con riguardo a quest’ultimo aspetto, deve ritenersi non sussistente l’elemento soggettivo del reato di omesso versamento di IVA (e, quindi, non sussistente il reato tout court) nel caso in cui il contribuente, sebbene avesse la “coscienza e volontà” di omettere il debito IVA indicato nella propria dichiarazione annuale, non aveva tuttavia la “coscienza e volontà” di omettere il debito IVA per un ammontare superiore alla soglia di punibilità. In altri termini, il contribuente credeva che l’ammontare dell’IVA indicato in dichiarazione non avesse rilevanza penale in quanto, in buona fede, riteneva che lo stesso non fosse superiore alla soglia di punibilità ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00. Nell’ipotesi considerata, la punibilità del reato deve ritenersi esclusa ai sensi e per gli effetti dell’art. 47 c.p. (“Errore di fatto”).

Questa impostazione è stata confermata dalla Suprema Corte con la sentenza n. 2882 del 22/01/14.

Nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte, un commercialista, travisando le reali intenzioni del cliente, aveva erroneamente compensato un credito IVA con debiti IRES e IRAP (c.d. compensazione orizzontale), così precludendo al cliente di utilizzare il medesimo credito IVA a compensazione di un debito IVA originariamente di ammontare superiore alla “soglia di punibilità”.

Le reali intenzioni del contribuente, invece, erano quelle di compensare detto credito IVA con il debito IVA “sopra soglia” (c.d. compensazione verticale) al fine di abbassare quest’ultimo sotto la soglia di rilevanza penale ed evitare così la configurazione del reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00). Tuttavia, a causa dell’errore del commercialista, la dichiarazione annuale del contribuente ha finito per indicare un debito IVA sopra la soglia di rilevanza penale. Di conseguenza, veniva a configurarsi il reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’oo) in capo al contribuente nel momento in cui questi aveva successivamente omesso il versamento del debito IVA annuale entro il 27/12 dell’anno in considerazione.

La Suprema Corte, esaminati gli atti di causa, ha rilevato l’emersione dell’errore di fatto ex art. 47 c.p. (che già di per sé esclude la punibilità del reato) e, di conseguenza, l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato (che impedisce l’integrazione del reato). L’errore del commercialista aveva infatti creato una discrepanza tra la situazione reale (dichiarazione di un debito IVA “sopra soglia”) e la situazione di cui il contribuente aveva “coscienza e volontà” (dichiarazione di un debito IVA “sotto soglia”)

In particolare, la Suprema Corte ha deciso il caso pratico stabilendo che

Nel caso di specie, già coi secondo motivo di appello era stato dedotto l’errore dei commercialista precisandosi che la circostanza era stata confermata in aula dal medesimo il quale aveva dichiarato che il proprio ufficio per errore aveva generato una delega in compensazione utilizzando i 16.781 euro del credito relativo all’anno precedente per pagare imposte dirette relative ai 2004, e che nella relazione a firma del dott. R. si affermava l’intenzione della società di utilizzare il credito di €. 16.781,00 indicato in dichiarazione per compensare il debito IVA scaturente dalle dichiarazioni mensili dell’anno 2005. La circostanza era senz’altro decisiva perché analizzata ad escludere l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 10 ter del D.Lvo n. 74/2000, che è costituito dalia coscienza e volontà dell’agente di sottrarsi all’adempimento dell’obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo.

In alcuni casi particolari, oltre che come “dolo generico”, l’elemento psicologico del reato è stato individuato come…

“dolo eventuale”

L’elemento psicologico del “dolo eventuale” consiste nel prendere in considerazione un evento esclusivamente come “eventualità” e non come fine diretto. In altri termini, l’agente accetta il rischio (i.e., l’eventualità) che l’evento si verifichi, e, in ragione di tale accettazione, si determina ad agire in ogni caso, anche a costo di cagionare l’evento medesimo, sebbene non avesse mai avuto come obiettivo la sua realizzazione. Alla luce di tali caratteristiche, il dolo eventuale viene spesso posizionato ai confini con la colpa e, in particolare, con la colpa cosciente o con previsione.

La giurisprudenza di legittimità, come regola generale, ritiene sussistere l’elemento soggettivo del reato di omesso versamento IVA “anche” nei casi in cui il delitto sia stato commesso a seguito di una crisi di liquidità. Naturalmente, se esiste la regola generale, esistono anche le sue eccezioni. L’argomento merita di essere approfondito nei paragrafi che seguono.

Crisi di liquidità e reato di omesso versamento di IVA

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Si tratta di quei casi in cui il contribuente (soggetto passivo IVA) si trova in una situazione di crisi economico-finanziaria e, al fine di garantire la continuità della propria attività, spesso destina le uniche risorse finanziarie disponibili (tra cui, l’IVA addebitata in fattura e poi riscossa dai cessionari/committenti) al pagamento degli stipendi dei dipendenti e/o al pagamento dei fornitori.

Nelle ipotesi in commento, il contribuente si è spesso difeso dalla contestazione del reato di omesso versamento di IVA invocando la crisi di liquidità quale “causa di forza maggiore” (art. 45 c.p.). Per le stesse ragioni, lo stesso eccepiva altresì la mancata integrazione del reato per insussistenza del suo elemento soggettivo (art. 43 c.p.), costituito dalla “coscienza e volontà” dell’omissione (c.d. dolo generico).

Quando la crisi di liquidità “non fa venir meno” il reato di omesso versamento di IVA

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Salvo poche pronunce di segno contrario (cfr. Cass., Sez III penale, sent. 03.04.2014 n. 15176), nei casi di omesso versamento IVA correlato a crisi di liquidità, il prevalente orientamento della Suprema Corte ha fermamente rigettato l’impostazione difensiva sopra esposta, rinvenendo invece una forma di “dolo generico” e/o “dolo eventuale” in quel contribuente che abbia omesso di effettuare i versamenti periodici e di accantonare l’IVA riscossa, in questo modo esponendosi consapevolmente al rischio (i.e. eventualità) di un futuro omesso versamento di un debito IVA di ammontare superiore al “soglia di punibilità” ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00, come tale, idoneo ad integrare il reato in esame.

A tal riguardo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 28 marzo 2013, n. 37424, la cui impostazione risulta peraltro confermata dalla sentenza 11 dicembre 2013, n. 3639 della Sezione penale della medesima Suprema Corte, ha stabilito quanto segue:

“Ogniqualvolta il soggetto d’imposta effettua operazioni imponibili riscuote già, dall’acquirente del bene o del servizio, l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine per il versamento, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di far debitamente fronte alla predetta esigenza di organizzazione delle risorse disponibili” .

Tale orientamento è stato confermato, più di recente, dalla medesima Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 30677 del 5 agosto 2021, la quale, dopo aver fornito un inquadramento normativo e giurisprudenziale generale del reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00), svolge una pregevole ricostruzione delle varie posizioni argomentative e dei principi giuridici fondamentali che informano il rapporto tra il reato in esame e la crisi di liquidità.

In particolare, secondo la Suprema Corte, ai fini della configurabilità del reato, deve considerarsi l’assoluta

    1. irrilevanza dell’effettiva riscossione dai clienti del prezzo delle operazioni effettuate (cessioni di beni/prestazioni di servizi)
    2. irrilevanza degli accadimenti eventualmente successivi all’avvenuta riscossione del prezzo delle operazioni rilevanti ai fini IVA.

La Corte di Cassazione, infatti, con la sopra citata sentenza n. 30677/2021 rileva che:

Sono poi irrilevanti, ai fini della configurabilità del reato, sia l’effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate (tranne i casi di applicabilità del regime di «Iva per cassa», cfr. Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Ventura, Rv. 272069) sia le condotte successive dell’obbligato, stante la natura del reato, che è emissivo proprio a consumazione istantanea.

Guardiamo più da vicino ai rilievi che la Suprema Corte, con la sentenza sopra menzionata (Cass. sent. n. 30677/2021), svolge in merito alle 2 ipotesi sopra prospettate.

Il mancato incasso del prezzo delle operazioni non esclude il reato di omesso versamento di IVA

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Per la Corte di Cassazione è irrilevante che il prezzo delle operazioni sia stato effettivamente riscosso/incassato dai clienti. Il reato di omesso versamento di IVA sussisterebbe in ogni caso. Vediamo perché.

Con specifico riguardo ai casi in cui il contribuente riconduca l’omesso versamento del debito IVA agli omessi pagamenti e/o ad inadempimenti dei propri clienti (i.e., omessa riscossione del prezzo delle operazioni IVA), la Suprema Corte (sentenza n. 30677/2021) osserva:

Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep. 2020, Mattiazzo, Rv. 278909 – 01, ha affermato il principio per cui, in tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi.

Il reato di omesso versamento di IVA non è escluso neanche quando il soggetto, in buona fede, abbia emesso fattura prima di aver incassato il prezzo delle operazioni.

A tal proposito, infatti, nella citata sentenza n. 30677/2021, la Cassazione penale rileva:

Nel corso degli anni, in relazione alla natura giuridica delle prestazioni, la regola è infatti divenuta quella della cd. Iva per cassa; il pagamento è il criterio prevalente previsto dall’art. 6 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 per ritenere effettuata l’operazione relativa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi a cui si applica l’imposta sul valore aggiunto. Inoltre, regole specifiche sono previste dall’art. 26 nel caso di inadempimento con il diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione.

Proprio in conseguenza di tali principi, Sez. 3, n. 38594 del 23/01/2018, M., Rv. 273958 – 01, ha affermato, in tema di reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, che l’emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta sicché egli non può dedurre il mancato pagamento della fattura né lo sconto bancario della fattura quale causa di forza maggiore o di mancanza dell’elemento soggettivo.

Tali principi sono stati confermati dalla successiva Corte di Cassazione penale, sentenza n. 38098/2022. La pronuncia in questione, in particolare, evidenzia che il mancato pagamento di corrispettivi su una fattura già emessa non permette di escludere la successiva responsabilità penale per il reato ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000. Ciò in quanto, l’emittente della fattura non pagata:

avrebbe potuto, ove non incassate le somme relative alle prestazioni di servizi, avvalersi delle procedure di storno, mentre con la dichiarazione ha affermato l’esistenza del debito IVA nella quantità poi non versata

In altri termini, per il Supremo Collegio, il contribuente avrebbe potuto annullare la fattura non pagata per mezzo di una nota di credito (“a storno” della fattura non saldata), ai sensi dell’art. 26, comma 2, DPR 633/1972. Non solo, ma poi il contribuente ha persino presentato la dichiarazione annuale indicante un debito IVA sopra la soglia di rilevanza penale.

Pertanto, secondo la Suprema Corte (Cass. pen. sent. n.38098/2022):

se da un lato, va ribadito

il principio per cui deve escludersi che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986).

dall’altro lato, va confermato il

costante orientamento della giurisprudenza, la prova del dolo è insita nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto.

Destinare risorse al pagamento di debiti urgenti non esclude il reato di omesso versamento di IVA

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Per la Suprema Corte sono irrilevanti gli eventuali accadimenti successivi all’avvenuta riscossione del prezzo delle operazioni IVA. Il reato di omesso versamento di IVA risulterebbe comunque integrato.

Infatti, ci sono ipotesi in cui il contribuente riconduce l’omesso versamento del debito IVA indicato nella dichiarazione annuale ad eventi successivi all’avvenuto pagamento delle operazioni da parte dei clienti. Si tratta di quei casi in cui, stante la crisi di liquidità, il contribuente ha ritenuto di destinare le poche risorse economiche disponibili ai quei pagamenti che avrebbero garantito la continuità dell’impresa. In queste ipotesi, infatti, dopo aver pagato gli stipendi ai lavoratori e/o il prezzo della merce ai fornitori, il contribuente si ritrova spesso senza le risorse economiche necessarie al pagamento del debito IVA indicato nella dichiarazione annuale già presentata.

A tal riguardo…

la Corte di Cassazione (sentenza n. 30677/2021) premette innanzitutto che:

Ciò deriva anche dai principi affermati da Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013, Romano, Rv. 255757, secondo cui il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere l’obbligazione tributaria.

Successivamente, la stessa pronuncia (Cass. sent. n. 30677/2021) rileva che:

Nello stesso solco si pone la sentenza di Sez. 3 del 13 novembre 2018, n.12906, Canella, che ha affermato che il reato di omesso versamento IVA è integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti, elemento che rientra nell’ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l’inadempimento dell’obbligazione fiscale contratta con l’erario. Può dunque affermarsi il principio per cui quando, come nel caso in esame, risulti che l’Iva sia stata effettivamente incassata, le relative somme non siano state accantonate ma impiegate per autofinanziamento, per altri scopi imprenditoriali, oltre ad essere provato il dolo, l’autore dell’omesso versamento si pone volontariamente nelle condizioni di non uniformarsi alla legge, con la conseguenza che non è invocabile la forza maggiore

Quando la crisi di liquidità “fa venir meno” il reato di omesso versamento di IVA

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Come accennato, l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione non considera la crisi di liquidità una esimente dal reato di omesso versamento di IVA. Tuttavia, vi sono casi particolari in cui la medesima Suprema Corte ha ritenuto e ritiene tuttora la non configurabilità del reato in presenza di una grave ed imprevedibile crisi economica dell’attività svolta dal contribuente.

A tal riguardo, è la stessa Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 30677/2021 qui in commento, rileva l’esistenza di 2 orientamenti giurisprudenziali di legittimità intesi a valorizzare, per ragioni diverse, la valenza esimente della crisi di liquidità.

Sebbene si caratterizzino per impostazioni argomentative tra loro ben diverse, entrambi gli orientamenti giurisprudenziali in questione subordinano la valenza esimente della “crisi di liquidità” all’avvenuta soddisfazione, da parte del contribuente, di ben specifici oneri di allegazione probatoria.

In particolare, la Suprema Corte individua un:

I) orientamento giurisprudenziale che richiede la duplice prova:

        1. della non riconducibilità/addebitabilità della crisi al comportamento del contribuente e…
        2. dell’avvenuto esperimento, da parte di quest’ultimo, di tutte le possibili azioni volte ad evitare e/o risolvere la crisi;

II) orientamento giurisprudenziale che valorizza la “crisi di liquidità” solo quando viene dimostrato che si è manifestata con le caratteristiche proprie dell’esimente della “forza maggiore” (art. 45 c.p.). A tal riguardo, il contribuente deve  provare la riconducibilità della condotta antigiuridica (omesso versamento di IVA), non ad una sua scelta imprenditoriale consapevole e volontaria, bensì a cause indipendenti dalla sua volontà nei riguardi delle quali, peraltro, possa altresì dimostrare di aver “fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge”.

1° orientamento giurisprudenziale: la crisi di liquidità esclude il reato di omesso versamento di IVA al ricorrere di una duplice prova

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Con riguardo al primo orientamento giurisprudenziale (sentenze “Zanchi”, “Schirosi”, “Maffei”, “Mercutello”), il Supremo Collegio rileva:

Esiste un orientamento della giurisprudenza per cui, quanto alla incidenza dello stato di difficoltà o di crisi finanziaria dell’impresa obbligata al pagamento dell’imposta, al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorrono l’allegazione e la prova della non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3. N.16035 del 10/10/2018, dep. 2019, Schirosi, in motivazione).

A tal proposito, la Suprema Corte evidenzia che le sentenze che hanno ritenuto possibile la rilevanza della crisi di liquidità al fine di escludere il reato di omesso versamento di IVA

…partono sempre dal presupposto che per escludere la volontarietà della condotta è necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento all’obbligazione verso l’Erario a fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3. N.16035 del 10/10/2018, dep. 2019, Schirosi, in motivazione).

In altri termini, secondo la Corte di Cassazione, al fine di escludere il reato di omesso versamento di IVA…

Occorre la prova che il contribuente non sia stato in grado, per cause indipendenti dalla sua volontà, di reperire le necessarie risorse per l’adempimento dell’obbligo tributario (nonostante abbia posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, le somme necessarie; Sez. 3, n. 5905 del 9 ottobre 2013, Maffei, non massimata; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, dep. 2014, Mercutello, Rv. 258055).

2° orientamento giurisprudenziale: la crisi di liquidità esclude il reato di omesso versamento di IVA se integra la “forza maggiore”  

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Con riguardo, invece, al secondo orientamento giurisprudenziale (sentenze “Canella”, “Mastrolia”), il Supremo Collegio rileva:

Altre sentenze, esplicitamente, hanno affermato che ciò che può escludere la responsabilità è solo la forza maggiore. Però, l’esimente della forza maggiore, di cui all’art. 45 cod. pen., sussiste in tutte le ipotesi in cui l’agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge e che per cause indipendenti dalla sua volontà non vi era la possibilità di impedire l’evento o la condotta antigiuridica (Sez. 5, n. 23026 del 03/04/2017, Mastrolia, Rv. 270145 – 01).

Per la Suprema Corte, infatti, la sussistenza della “forza maggiore” implicherebbe il venir meno dell’elemento soggettivo (elemento psicologico) del reato di omesso versamento di IVA

La forza maggiore si riferisce ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, impedendo di configurare un’azione penalmente rilevante per difetto del generale requisito della coscienza e volontarietà della condotta previsto dal primo comma dell’art. 42 cod. pen.

Peraltro, aggiungono gli Ermellini…

Come affermato dalla sentenza Mastrolia, in motivazione, tale interpretazione dell’esimente in oggetto è quella che meglio si sposa non solo con il significato fatto proprio dall’espressione, la quale prefigura la situazione di un soggetto assolutamente privo della possibilità di sottrarsi a una forza per lui irresistibile (in proposito si dice che il soggetto non agit, sed agitur), ma anche con il dato normativo, giacché, da una parte, l’art. 46 cod. pen. enuclea un’ipotesi speciale di forza maggiore disciplinando il costringimento fisico, peraltro esplicitandone i caratteri e, dall’altra, l’art. 54 cod. pen. regola l’ipotesi diversa in cui la volontà dell’autore sia coartata in modo non assoluto bensì relativo, residuando in capo al soggetto un margine di scelta.

Conclude, quindi, sul punto la Suprema Corte rilevando che…

Pertanto, va ribadito che le sentenze che richiamano la possibilità di invocare la forza maggiore, come la sentenza Canella in motivazione, presuppongono sempre che l’agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge e che per cause indipendenti dalla sua volontà non vi era la possibilità di impedire l’evento o la condotta antigiuridica; ciò non si verifica quando la condotta antigiuridica è il frutto di una scelta imprenditoriale consapevole e volontaria.

Il Covid-19 come esimente dal reato di omesso versamento di IVA

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I principi giurisprudenziali poc’anzi illustrati assumono particolare rilevanza “al tempo in cui si scrive”, dove le ricadute economico-finanziarie dell’emergenza sanitaria da Covid-19 stanno mettendo a dura prova buona parte del tessuto imprenditoriale nazionale e, più in generale, chiunque svolga attività rilevanti ai fini IVA.

Il periodo di emergenza epidemiologica da Covid-19, infatti, ben potrebbe aver innescato una crisi di liquidità del contribuente. Tale crisi, a sua volta, potrebbe aver impedito il tempestivo versamento del debito IVA indicato nella dichiarazione tributaria presentata all’Agenzia delle Entrate. Di tale eventualità, peraltro, è stato consapevole lo stesso Governo che, per far fronte alle macroscopiche ricadute economico-sociali della pandemia, ha intrapreso una decisa politica di sostegno economico verso i soggetti più colpiti [es.: contributi a fondo perduto, indennità (bonus) Covid, ristori, reddito di ultima istanza, ecc…].

Ebbene, in tale scenario, il reato di omesso versamento di IVA potrebbe astrattamente essere escluso solo qualora il contribuente riesca a dimostrare, da un lato, che l’omesso pagamento (condotta antigiuridica) sia da ricollegare a “cause indipendenti dalla sua volontà” e, dall’altro lato, che egli abbia adottato “tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale”, al fine di recuperare le risorse economiche necessarie al pagamento del debito IVA indicato in dichiarazione (per un ammontare superiore alla soglia di punibilità).

Per un maggior approfondimento sul punto, si rinvia agli orientamenti giurisprudenziali di legittimità menzionati nei precedenti paragrafi. Tali impostazioni ermeneutiche, infatti, qualora ricorrano determinati presupposti, hanno a vario titolo ritenuto non integrabile il reato di omesso versamento di IVA.

Il regime sanzionatorio del reato di omesso versamento di IVA

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La sanzione penale (pena)

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Ai sensi dell’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00, il reato di omesso versamento di IVA è punito “con la reclusione da sei mesi a due anni (c.d. pena edittale).

Come per tutti i reati tributari (D.Lgs. n. 74/00), oltre alla “pena edittale”, troveranno altresì applicazione:

  • le c.d. “pene accessorie” (art. 12, D.Lgs. n. 74/’00)
  • la confisca dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato (c.d. confisca diretta), ovvero, quando questa non è possibile, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto (c.d. confisca per equivalente) (art. 12 bis, D.Lgs. n. 74/’00)

Premesso ciò, occorre tuttavia considerare che:

  • il pagamento integrale del debito tributario eseguito prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado integra la causa di non punibilità ex art. 13, D.Lgs. n. 74/’00
  • nei casi in cui non fosse applicabile la predetta causa di non punibilità di cui all’art. 13, D.Lgs. n. 74/’00, il trattamento sanzionatorio, sussistendone le condizioni di legge, potrà in ogni caso risultare mitigato in forza:

Per un maggiore approfondimento in merito a punti appena illustrati, si rinvia all’articolo Il reato tributario non è punibile se c’è pagamento

Inoltre, ai sensi del comma 2-bis dell’art. 12, D.Lgs. n.74/’00, a differenza di quanto avviene per altri reati tributari, al reato di omesso versamento di IVA il beneficio della sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p. risulta applicabile senza alcun limite e, in particolare, indipendentemente dall’ammontare dell’IVA non versata.

La sanzione amministrativa (pena pecuniaria)

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Chi commette il reato di omesso versamento di IVA – così come il reato di omesso versamento di ritenute (art. 10 bis, D.Lgs. n. 74/’00) – risulta per ciò stesso aver già commesso l’illecito amministrativo previsto e sanzionato dall’art. 13, D.Lgs. n. 471/1997 (Ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione)

Pertanto, il responsabile del reato di omesso versamento di IVA, oltre alla sanzione penale, dovrà scontare anche la sanzione amministrativa. Questa, ai sensi del citato art. 13, D.Lgs. n. 471/1997, risulta “pari al trenta per cento di ogni importo non versato”.

A tal riguardo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37424/2013, hanno confermato l’applicazione congiunta delle 2 sanzioni (penale e amministrativa). Secondo gli Ermellini, infatti, il cumulo delle 2 sanzioni non è suscettibile di ledere il principio penalistico del “ne bis in idem” di cui all’art. 649 c.p.p. . Tale principio, infatti, impedisce al giudice di procedere contro la stessa persona per lo stesso fatto sul quale si è formato il giudicato.

Sul punto, le SS.UU. hanno avuto modo di precisare che il rapporto tra l’illecito penale e l’illecito amministrativo deve essere valutato in termini, non già di specialità, ma piuttosto di progressione. A ciò consegue la possibilità di applicare congiuntamente la sanzione penale e la sanzione amministrativa

La prescrizione del reato di omesso versamento di IVA

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Valgono qui i principi normativi penalistici applicabili a qualsiasi altro reato.

In particolare, il reato di omesso versamento di IVA, ai sensi del combinato disposto dell’art. 157 c.p. e dell’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00, si prescrive nel termine di 6 anni. Tale termine decorre dal “momento consumativo” del reato, ossia, per quanto sopra osservato, successivamente al 27/12 di ogni anno.

Tuttavia, nel caso di interruzione del corso della prescrizione, in forza del combinato disposto degli artt. 160, 161 e 157 c.p., il termine di prescrizione del reato può essere prolungato fino ad un massimo di 7 anni e 6 mesi.

Sospensione dei termini di prescrizione durante il Covid-19

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Al fine di contenere la pandemia da Covid-19, il legislatore ha introdotto un periodo di sospensione del termine di prescrizione, della durata di 64 giorni, che va dal 09/03/20 all’11/05/20. Tale sospensione, tuttavia, non si estende a tutti i procedimenti penali pendenti, bensì si applica solo a quei procedimenti:

    1. la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all’11 maggio 2020;
    2. per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale.

Sul punto, peraltro, ha già avuto modo di esprimersi la Suprema Corte.

Corte di Cassazione Penale, Sez. 3, sentenza n. 2506/2022

Ciò posto, occorre evidenziare che sulla portata della disciplina emergenziale introdotta in ambito processuale penale a seguito della diffusione dell’epidemia del Covid-19, si sono di recente pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza n. 5292 del 26/11/2020, Rv. 280432, ricorrente Sanna, hanno tra l’altro affermato il principio secondo cui, in tema di disciplina della prescrizione a seguito dell’emergenza pandemica da Covid-19, la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall’art. 83, comma 4, del decreto legge n. 17 marzo 2020/n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27,

si applica ai procedimenti la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all’11 maggio 2020, nonché a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale, avendo in ogni caso le Sezioni Unite escluso che la sospensione della prescrizione possa operare in maniera generalizzata, per tutti i procedimenti pendenti, in quanto la disciplina introdotta all’art. 83, comma 4, del decreto legge n. 18 del 2020, presuppone che il procedimento abbia subito una effettiva stasi a causa delle misure adottate per arginare la pandemia.

Diagramma illustrativo del reato di omesso versamento di IVA

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Gli aspetti essenziali della disciplina del reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/’00) possono essere rappresentati nel seguente…

Diagramma illustrativo (clicca sull’immagine per ingrandirla o esegui lo zoom da qui).

reato di omesso versamento di iva_schema del delitto

Conclusione

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Il reato di omesso versamento di IVA occupa certamente un posto speciale tra i delitti fiscali previsti e disciplinati dal D.Lgs. n. 74/2000. Tale speciale considerazione è giustificabile in ragione sia della matrice comunitaria e sovranazionale del tributo, sia nell’alta incidenza che il reato ha nel tessuto socio-economico nazionale e sia del numero e complessità di questioni giuridiche che lo riguardano.

D’altra parte, non è certo un caso che l’IVA rappresenti l’unico tributo il cui nome è presente per esteso nella rubrica di un articolo di legge disciplinante un reato tributario.

Avv. Matteo Allegretti

Avv. Matteo Allegretti

Iscritto nell’Albo Speciale degli Avvocati Cassazionisti

Avvocato Specialista in Diritto Tributario, Doganale e della Fiscalità Internazionale (Titolo conferito dal Consiglio Nazionale Forense con Delibera del 20/10/23).

Dottore di Ricerca, Cultore della Materia e Docente in Diritto Tributario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Collaboratore della Cattedra di Diritto Tributario (Prof. Pietro Boria) presso la Facoltà di Giurisprudenza – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Fondatore e name partner dello Studio Legale Tributario Allegretti (Roma – Circonvallazione Clodia, 15).

Contatti:
– email avv.matteoallegretti@gmail.com
– tel 328.8674.989

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Bibliografia:

C. Lombardozzi, Omesso versamento di ritenute e IVA e indebita compensazione, in Manuale professionale di diritto penale tributario, a cura di L. Salvini e F. Cagnola, p. 768 ss.

A. Traversi, La difesa del contribuente nel processo penale tributario, Giuffrè Editore, Milano, p. 355 ss.

G.L. Soana, I reati tributari, Giuffrè, Milano, 2018

E. Musco-F. Ardito, Diritto penale tributario, Zanichelli, Bologna, 2016

P. Boria, Il sistema dei tributi, Tomo II, Le imposte indirette, Giappichelli, Torino, 2019

B. Santacroce, Manuale IVA 2020, Il Sole 24 Ore

Sitografia:

http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

https://def.finanze.it/DocTribFrontend/RS2_HomePage.jsp

https://www.gazzettaufficiale.it/

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