L’interconnessione del diritto tributario con l’economia e con le altre brache del diritto è un dato evidente sia allo studioso e sia all’operatore del diritto. Il carattere spiccatamente interdisciplinare della materia può certamente trovare una spiegazione nella sua particolare collocazione sistematica rispetto alle altre discipline economiche e giuridiche.
Sul tema può quindi risultare utile e interessante svolgere alcune considerazioni e qualche esempio.
Autonomia e specificità della materia
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Prima di rilevare e apprezzare il carattere di interconnessione del diritto tributario, occorre sottolinearne il ruolo di branca del diritto avente la propria autonomia e specificità.
Ciò è vero, in primis, da un punto di vista scientifico e accademico.
Il diritto tributario è infatti un c.d. fondamentale insegnato in tutti i corsi di laurea in Economia e Giurisprudenza. Al diritto tributario sono, non a caso, dedicate numerose riviste scientifiche accreditate presso l’ANVUR.
Ciò è vero, in secundis, da un punto di vista tecnico-operativo.
Il diritto tributario rappresenta infatti una specifica branca del diritto, composta da “diversi corpi di norme” che ne disciplinano i vari aspetti. A titolo esemplificativo e non esaustivo, possiamo annoverare per
- l’aspetto relativo ai principi generali della materia
- l’aspetto sostanziale [i.e. disciplina dei vari istituti (parte generale) e dei singoli tributi (parte speciale)]:
- l’aspetto processuale:
- l’aspetto sanzionatorio
- ecc…
L’elencazione sopra riportata è sufficiente a dare del diritto tributario l’idea di un “mosaico di testi normativi”. Quella del mosaico, tuttavia, risulterebbe una rappresentazione troppo ottimistica e non veritiera dello stato dell’arte della materia.
Nel mosaico, infatti, la frammentarietà è compensata dalla concentrazione e organizzazione dei frammenti in un ben determinato perimetro di superficie. I frammenti rimangono tali ma loro vicinanza e organizzazione nello spazio permette l’emersione agli occhi dell’osservatore della figura rappresentata. Purtroppo, non può dirsi lo stesso per il diritto tributario. La materia si caratterizza infatti storicamente sia per essere frammentaria e sia per non essere concentrata un unico testo normativo che ne faciliterebbe il reperimento, la consultazione e lo studio.
Frammentarietà ed eterogeneità delle fonti normative della materia
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La disciplina delle principali branche del diritto si caratterizza per essere prevalentemente “concentrata” in un numero limitato e ben determinato di testi normativi. E’ il caso, ad es., del diritto civile e del diritto penale.
Ciascuna di queste due macro-aree giuridiche, infatti, vede condensata la sua intera disciplina “sostanziale” e “processuale” in soli due codici. Si tratta del Codice Civile e del Codice di Procedura Civile per quanto riguarda, rispettivamente, la parte sostanziale e processuale del Diritto Civile. Si tratta, invece, del Codice Penale e del Codice di Procedura Penale con riguardo, rispettivamente, alla parte sostanziale e processuale del Diritto Penale.
Al contrario, la disciplina giuridica del diritto tributario si caratterizza notoriamente per
- la frammentarietà e molteplicità delle fonti normative in cui è contenuta. Il numero dei Decreti Legislativi (D.Lgs.) e Decreti del Presidente della Repubblica (DPR) che caratterizza l’elenco sopra riportato conferma l’aspetto in questione;
- l’eterogeneità delle fonti normative, sia dal punto di vista del grado gerarchico e sia dal punto di vista dell’oggetto o argomento della singola fonte normativa considerata. Solo per fare qualche esempio:
quanto all’aspetto gerarchico, valga la considerazione per cui norme spiccatamente tributarie si trovano in
- fonti normative di rango internazionale (ad es., le c.d. “convenzioni contro le doppie imposizioni”, ossia, trattati internazionali dall’Italia stipulati con vari Paesi della comunità internazionale). Si tratta delle c.d. “fonti di diritto internazionale tributario”;
- fonti normative sovraordinate alle legge ordinaria, come ad es., la Costituzione Italiana (vd. ad es., gli artt. 23 e 53 Cost.). Si tratta delle c.d. “fonti costituzionali”;
- leggi (ad. es., nella L. n. 212 del 2000, c.d. Statuto dei Diritti del Contribuente, nelle varie “Leggi di Bilancio” che si susseguono con cadenza annuale) e in atti aventi forza di legge (vd. ad es. i D.Lgs. sopra enumerati). Si tratta delle c.d. “fonti primarie”;
- Decreti Presidenziali della Repubblica (DPR), in Decreti Ministeriali (D.M.), ecc…, considerati “fonti secondarie”;
quanto all’aspetto dell’oggetto/argomento della singola fonte normativa considerata, vale invece la considerazione che segue
- in alcuni casi, norme tributarie trovano collocazione in fonti normative interamente dedicate alla materia tributaria. E’ il caso dell’elenco di fonti normative sopra riportato;
- in altri casi, invece, norme di natura tributaria sono contenute in fonti normative disciplinanti argomenti anche molto diversi tra loro. Il caso tipico è quello della c.d. Legge di Stabilità (ex “Legge finanziaria”). Tale legge, infatti, oltre che disciplinare aspetti tributari, può contenere disposizioni normative riguardanti, ad es., la cultura, l’istruzione, le pensioni, la sicurezza, la tutela dei lavoratori, ecc… Si veda ad es., la Legge del 28/12/2015 n. 208 (c.d. Legge di Stabilità 2016).
Dato questo scenario, l’individuazione e il reperimento delle norme di diritto tributario disciplinanti in modo specifico il caso concreto, potrebbero risultare operazioni del tutto “non scontate”. In questo contesto, l’interconnessione del diritto tributario con le altre discipline economiche e giuridiche, se, da un lato, rappresenta una “apprezzabile” caratteristica della materia, dall’altro lato, potrebbe costituire un ulteriore elemento di complicazione del quadro.
Il “sistema tributario” e la legge delega per la revisione del sistema fiscale
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Per quasi un secolo, a livello istituzionale, si è tentato di porre rimedio alla “selva oscura” in cui di fatto consiste la normativa tributaria (i.e. il citato “mosaico di norme”). Tuttavia, nei decenni, tutti i tentavi legislativi e i progetti di riforma tesi ad una codificazione unitaria della materia, sono andati vani.
Tali difficoltà, tuttavia, non hanno mai scalfito la concezione unitaria e autonoma che del diritto tributario hanno e hanno sempre avuto
- il legislatore: ad es., emblematico a tal riguardo è quanto previsto all’art. 1, comma 1, L. 212/2000 (c.d. Statuto dei Diritto del Contribuente). La norma, infatti, espressamente chiarisce che le disposizioni della legge “costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario“. Il diritto tributario viene quindi inteso come un “ordinamento”, ossia, un autonomo insieme di norme giuridiche che regolano una data materia.
- la dottrina: autorevoli studiosi della materia hanno fortemente sostenuto l’idea del diritto tributario quale autonomo “sistema normativo” nell’ambito dell’ordinamento giuridico. A tal riguardo, ci si è infatti riferiti al c.d. “sistema tributario” (1)
Tale concezione unitaria e autonoma del diritto tributario è sostenuta e perseguita tutt’oggi. La conferma di ciò è data dalla recente iniziativa legislativa di riforma e riorganizzazione dell’intera disciplina tributaria.
Infatti, il mai estinto anelito ad una riorganizzazione complessiva della materia si è più di recente concretizzato nel disegno di legge di delega per la revisione del sistema fiscale (A.C. 3343), approvato dal Consiglio dei Ministri del 5 ottobre 2021 (2).
In particolare, l’art. 9 del Disegno di Legge reca la “delega al Governo per l’adozione di norme finalizzate alla codificazione delle disposizioni legislative vigenti in materia“ secondo i seguenti “specifici princìpi e criteri direttivi”:
omogeneità dei codici di settore
coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa
unicità, contestualità, completezza, chiarezza, semplicità dei codici di settore
aggiornamento linguistico e abrogazione espressa delle norme oggetto di revisione
Ai sensi dell’art. 1 del disegno di legge, in particolare, il Governo avrà adesso 18 mesi di tempo (decorrenti dall’entrata in vigore della legge delega) per adottare uno o più decreti legislativi recanti la revisione del “sistema fiscale”.
Tornando all’iter della riforma, si segnala che la Camera dei deputati ha esaminato in prima lettura il disegno di legge di delega presentato dal Governo, apportandovi modifiche (A.C. 3343-A) e approvandolo il 22 giugno 2022 (A.S. 2651). Tuttavia, a seguito della conclusione anticipata della legislatura, il disegno di legge non ha concluso il suo iter. Per maggiori dettagli e/o aggiornamenti sull’argomento, si rimanda alla pagina web istituzionale “delega per la revisione del sistema fiscale”.
Per quanto sin qui rilevato, non può quindi essere messo in discussione il carattere autonomo e unitario del diritto tributario. Premesso tale aspetto, ciò che, a parere di chi scrive, maggiormente caratterizza la materia de quo rispetto alle altre branche del diritto, è, come accennato, l’evidente interconnessione del diritto tributario con l’economia e, in particolare, con le altre branche del diritto.
L’interconnessione del diritto tributario con l’economia e le altre branche del diritto
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Per ben comprendere il carattere di interconnessione del diritto tributario con le altre discipline, è sufficiente guardare alla sua collocazione “all’interno e tra le sotto-partizioni” del diritto e dell’economia.
Il diritto tributario può infatti essere definito come quella branca del diritto finanziario che disciplina i tributi di ogni genere e specie. A sua volta, il diritto finanziario può essere definito come quel complesso di norme che disciplinano l’azione dello Stato sotto l’aspetto economico. Il diritto finanziario, a sua volta:
- da un lato, rappresenta una parte del diritto amministrativo, ossia, di quell’insieme di norme che disciplinano l’organizzazione della pubblica amministrazione, le attività tese al raggiungimento di interessi pubblici e i rapporti tra il potere pubblico (lo Stato) e i cittadini. Il diritto amministrativo, a sua volta, rappresenta un ramo del diritto pubblico, branca del diritto riguardante l’organizzazione e il funzionamento dello Stato, nonché i rapporti tra questo (e le sue articolazioni) e il cittadino;
- dall’altro lato, rappresenta una partizione giuridica della scienza delle finanze, che è quella branca dell’economia che si occupa dello studio della finanza pubblica.
Partendo da tali premesse, ben si spiegano i numerosissimi punti di contatto che il diritto tributario ha con l’economia e le varie branche del diritto. Tali collegamenti si sostanziano, in particolare, nella condivisione di concetti, istituti, nozioni e principi di carattere sia giuridico che economico.
Sul punto, un autorevole giurista quale Achille Donato Giannini (3), rilevava
data la sostanziale unità dell’ordinamento giuridico, è ovvio che fra le varie scienze, fra le quali se ne ripartisce lo studio, debbano esistere molteplici legami ed interferenze. Più specialmente il diritto tributario, per il suo contenuto, in varia guisa si interseca con tutte le altre discipline giuridiche, dando origine ad una molteplicità e varietà di relazioni ….
Il carattere trasversale e interdisciplinare della materia de quo rappresenta un tema “vastissimo” che, come tale, non può certamente trovare compiuta trattazione in questo articolo. Tuttavia, al fine di evidenziare l’interconnessione del diritto tributario con l’economia e soprattutto, con le altre branche del diritto, è possibile e, forse anche sufficiente, svolgere alcune semplici considerazioni e qualche esempio.
Diritto tributario ed economia
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Come accennato, il diritto tributario è una branca del diritto finanziario, che rappresenta a sua volta la partizione giuridica di una branca dell’economia, quale è la scienza delle finanze. In quanto tale, il diritto tributario è, insieme al diritto finanziario di cui fa parte, la branca del diritto maggiormente vicina all’economia. In altri termini, è la disciplina giuridica che maggiormente utilizza istituti e/o concetti di matrice prettamente economica.
Una considerazione valga per tutte
Stando alle analisi statistiche svolte dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), il triennio 2019, 2020 e 2021 conferma che la maggior parte del gettito erariale deriva allo Stato dall’incasso delle imposte dirette (IRPEF, IRES e IRAP). Per imposte dirette devono intendersi quelle che colpiscono “direttamente” la ricchezza (patrimonio o reddito). Tra queste, una buona parte deriva certamente dall’incasso delle imposte sul reddito di impresa, pagate sia dalle persone fisiche (sotto forma di IRPEF) e sia dalle persone giuridiche (sotto forma di IRES).
Ora, proprio il concetto di reddito è idoneo a mostrare la forte interconnessione del diritto tributario con l’economia. In particolare, il reddito d’impresa e il suo procedimento di determinazione implicano la conoscenza e l’utilizzo di concetti tipici dell’economia aziendale. Analoga considerazione vale per il concetto di patrimonio, speculare e/o complementare rispetto a quello di reddito. Esaminiamoli più da vicino.
Con riguardo al concetto di reddito, occorre distinguere la sua accezione economica da quella giuridica.
In economia il reddito di un soggetto rappresenta la variazione di ricchezza (in senso sia positivo che negativo) misurata in un dato arco temporale (ad. es., dall’01/01/22 al 31/12/22). Esso rappresenta quindi l’aspetto dinamico della ricchezza, ossia, il flusso di ricchezza. In quanto tale, esso si contrappone al concetto di patrimonio, definibile invece come la ricchezza di un soggetto in un determinato istante. Il patrimonio rappresenta quindi l’aspetto statico della ricchezza, descrivibile come stock di ricchezza.
Pertanto, potremmo considerare il patrimonio di un soggetto all’01/01/22, oppure, al 31/12/22. La logica conseguenza è che se in tali due “istanti” il patrimonio rimane lo stesso, allora il reddito del soggetto riferito allo stesso “arco temporale” (dall’01/01/22 al 31/12/22) coinciderà con il suo patrimonio. Ne deriva altresì che, se ad es. al 31/12/22 fosse rilevato un patrimonio di valore più elevato rispetto all’01/01/22, il reddito del periodo di riferimento sarebbe definibile in termini di “incremento patrimoniale”.
Nel diritto e, in particolare, nel diritto tributario, il reddito è invece individuabile in ciò che la legge qualifica, di volta in volta, come tale. Non esiste pertanto una norma di legge che dia una definizione compiuta di reddito.
A tal proposito, nel diritto tributario, significativi riferimenti al concetto di “reddito” sono rinvenibili in diverse disposizioni del DPR 917/1986, noto come Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). Si segnalano, in particolare: art. 1 (Presupposto dell’imposta); art. 72 (Presupposto dell’imposta); art. 81 (Reddito complessivo); art. 6 (Classificazione dei redditi).
Se ciò è vero da un punto di vista “formale”, da un punto di vista “sostanziale”, nel diritto tributario il concetto di reddito coincide con quello di “novella ricchezza”, vale a dire, di incremento patrimoniale rilevato in un certo intervallo temporale (4).
Con riguardo, invece, al reddito d’impresa, rileviamo innanzitutto che lo stesso rappresenta una delle (n. 6) categorie di reddito previste e disciplinate dall’art. 6 TUIR. La sua disciplina è invece contenuta dagli artt. 55-66 e 81-142 del TUIR. A seconda se a percepirlo sia una persona fisica (ditta individuale) o una persona giuridica (società o enti commerciali), il reddito d’impresa verrà tassato, rispettivamente, con l’IRPEF o con l’IRES.
In particolare, la determinazione del reddito d’impresa percepito dai soggetti passivi IRES (società e enti commerciali) è disciplinata dall’art. 83, comma 1, TUIR, ai sensi del quale:
Il reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione.
Il “conto economico”, in particolare, rappresenta, insieme allo stato patrimoniale, alla nota integrativa e al rendiconto finanziario, uno degli elementi di cui si compone il “bilancio d’esercizio”. Ebbene, preme qui far notare come tali elementi, così come quelli di “utile” e “perdita” parimenti citati dalla norma, rappresentano tutti concetti derivati dall’economia aziendale.
A proposito di “bilancio d’esercizio”, la sua disciplina giuridica è contenuta agli artt. 2423-2435 ter del codice civile. Ma sui rapporti tra diritto civile e diritto tributario ne trattiamo nel prossimo paragrafo.
In modo simmetrico, anche il concetto di patrimonio acquisisce un significato diverso rispetto alla sua “versione economica”. Nel diritto e, segnatamente, nel diritto tributario, per patrimonio deve infatti intendersi l’insieme dei rapporti giuridici, aventi contenuto economico, riferibile ad un soggetto giuridico (c.d. titolare). Tali rapporti giuridici, peraltro, possono essere distinti in (a) attivi, aventi ad oggetto diritti soggettivi assoluti (ad es. il diritto di proprietà) o relativi (ad es., il diritto di credito) e (b) passivi, riguardanti obblighi, tra i quali rientrano i debiti (ad. es., con il fisco, con un privato, ecc…).
Nel diritto tributario, anche la ricchezza espressa in termini “statici”, ossia, di patrimonio, è soggetta ad imposizione. Ciò avviene attraverso le c.d. imposte patrimoniali. Un es. è dato dall’IMU (Imposta Municipale Propria) e dall’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili). Entrambe le imposte, infatti, per potersi applicare presuppongono il possesso di immobili (c.d. presupposto del tributo). Il possesso (diritto di possesso), a sua volta, può essere esercitato in qualità di proprietario, oppure, di titolare di diritti reali (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie) o personali (ad. es., derivante da locazione) di godimento sugli immobili. Il presupposto delle due imposte rientra quindi tra i rapporti giuridici attivi in cui può esprimersi il patrimonio di un soggetto.
Dal diritto civile al diritto tributario
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L’interconnessione tra il diritto tributario e il diritto civile emerge sotto moltissimi aspetti. Uno di questi può essere rappresentato dalla considerazione generale per cui una fattispecie tributaria deriva spesso da una fattispecie civilistica, che, come tale, la precede.
Ad esempio, immaginiamo il caso di una compravendita di un immobile ad uso abitativo tra due privati. Ebbene, iniziamo col rilevare che la compravendita rappresenta un contratto tipico previsto e disciplinato dall’art. 1470 ss. del Codice Civile.
Le parti stabiliscono di comune accordo un prezzo di vendita (c.d. corrispettivo). A questo punto, ai fini del calcolo e pagamento delle imposte relative alla vendita, le parti possono adottare due strade alternative:
- chiedere al notaio rogante di calcolare e poi versare le imposte sulla base del corrispettivo di vendita indicato nell’atto. Si tratta dell’imposta di registro (9% del corrispettivo di vendita, che in tal caso rappresenta la “base imponibile”), oltre alle imposte ipotecaria e catastale nella misura di 50 euro ciascuna.
- a prescindere dal corrispettivo di vendita pattuito e indicato nell’atto, possono chiedere al notaio rogante di applicare la c.d. regola del prezzo-valore. Tale regola prevede la tassazione del trasferimento immobiliare prendendo a riferimento il valore catastale dell’immobile. Si segnala un limite e un vantaggio della regola in questione.
- Il limite è rappresentato dal fatto che la sua applicazione può essere richiesta solo con riguardo a cessioni di immobili a uso abitativo (e relative pertinenze) acquistate da persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali.
- Il vantaggio, invece, consiste nel limitare il potere di accertamento dell’Agenzia delle entrate, che non può accertare un maggior valore ai fini dell’imposta di registro.
Premesso quanto sopra, ipotizziamo che le parti abbiano optato per la tassazione in base al corrispettivo indicato nell’atto di compravendita (vd sopra ipotesi n. 1). Si tratta, peraltro, di una scelta piuttosto frequente.
In tal caso è ben possibile che l’Agenzia delle entrate, a seguito dell’applicazione di alcuni specifici criteri previsti dalla legge (criterio comparativo, criterio della capitalizzazione e criterio residuale), ritenga il valore dell’immobile indicato nell’atto di compravendita o il corrispettivo ivi pattuito, inferiore al suo valore venale (valore di mercato). In tale ipotesi, l’Ufficio procede ad “accertamento di valore”, rideterminando la base imponile su cui calcolare le imposte dovute. Di conseguenza, l’Agenzia notificherà alle parti un c.d. avviso di rettifica e liquidazione con il quale l’Ufficio rettifica e liquida la maggiore imposta, con gli interessi e le sanzioni.
In tale circostanza, le parti destinatarie dell’atto impositivo potrebbero voler contestare l’accertamento e le maggiori pretese economiche del fisco. A tal proposito, esse potranno impugnare l’avviso di rettifica e liquidazione (art. 19, D.Lgs. 546/1992), proponendo ricorso tributario (art. 18, D.Lg. 546/1992) innanzi la Commissione Tributaria Provinciale competente.
Si aprirà quindi un giudizio regolato dal D.Lgs. 546/1992, ossia, il testo normativo che disciplina il processo tributario. Ebbene, l’art. 1, comma 2 del D.Lgs. 546/1992 prevede il c.d. “rinvio dinamico” al Codice di Procedura Civile (che regola il processo civile), disponendo che
I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.
Quindi…ricapitolando…
da una comune fattispecie civilistica (compravendita – art. 1473 ss. cc.) si è passati ad una fattispecie tributaria (calcolo e versamento dell’imposta di registro e successivo avviso di rettifica e liquidazione) e, da qui, si è poi passati ad una fattispecie processuale tributaria (giudizio tributario introdotto dal ricorso avverso l’avviso di rettifica e liquidazione), la cui disciplina rinvia – per quanto non disposto – a quella processuale civilistica.
In altri termini, l’esempio mostra la forte interconnessione tra il diritto tributario e il diritto civile. Tale interconnessione, a ben vedere, esiste sia a livello del diritto sostanziale (contratto di compravendita – imposta di registro) e sia a livello del diritto processuale (processo tributario – processo civile).
…ma il carattere inter-relazionale e di interconnessione del diritto tributario rispetto alle altre discipline sia giuridiche che economiche è lungi dal limitarsi al diritto civile…
Diritto tributario e diritto amministrativo
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Come abbiamo accennato nei paragrafi precedenti, il diritto tributario può essere considerato un sottosistema del diritto amministrativo, il quale, a sua volta, rappresenta una branca del diritto pubblico.
Il diritto tributario, infatti, ha ad oggetto lo studio dei tributi, di ogni genere e specie. I tributi, a loro volta, rappresentano risorse economiche pubbliche, necessarie a finanziare il funzionamento dello Stato e delle sue articolazioni organizzative (i.e. la pubblica amministrazione).
L’ontologica vicinanza tra la norma tributaria e la norma amministrativa trova immediato riscontro sul piano pratico-operativo.
Ad esempio, un elemento che costantemente accomuna la fattispecie amministrativa e la fattispecie tributaria è la presenza di una controparte pubblica. In entrambi i casi, infatti, è presente la dicotomia “consociato – Stato (o sua articolazione)”. La fattispecie tributaria, in particolare, si caratterizza per l’esistenza di un fisiologico “conflitto di interessi” tra il privato contribuente (soggetto passito del tributo) e l’Amministrazione finanziaria (soggetto attivo del tributo). Infatti, mentre il primo sarà naturalmente incline a minimizzare il più possibile l’ammontare di tributi da pagare, il secondo sarà invece proteso a massimizzare l’incasso di gettito erariale. D’altra parte, l’ontologica contrapposizione tra interesse del contribuente e interesse fiscale è stato oggetto di approfondimento da parte di una certa dottrina (5).
Basti solo pensare che l‘atto impositivo (avviso di accertamento, avviso di liquidazione, ecc…), sub specie iuris, rappresenta un provvedimento amministrativo, ossia, un atto emanato da una pubblica amministrazione ad esito di un procedimento amministrativo (L. 241/1990), e, segnatamente, di un procedimento tributario.
Svolta tale premessa, ritorniamo per un attimo all’esempio sopra svolta. Per quanto sin qui rilevato, appare ora chiaro che sia l’avviso di rettifica e liquidazione relativo ad imposta di registro e sia l’Agenzia delle entrate che lo ha emesso, rappresentano tutti elementi disciplinati da norme di diritto amministrativo.
La disamina sin qui svolta mostra come tra diritto tributario e diritto amministrativo sussistano forti e inevitabili punti di contatto. L’interconnessione del diritto tributario al diritto amministrativo, in alcuni casi, si concretizza in un esplicito rinvio della normativa tributaria alla normativa amministrativa.
Un esempio per tutti è rappresentato dall’art. 7, L. 212/2000 (Statuto dei Diritti del Contribuente), il quale, nel prescrivere la motivazione degli atti tributari, rinvia a quanto dall’art. 3, L. 241/1990 prescritto in tema di motivazione dei provvedimenti amministrativi.
L’art. 7, comma, L. 212/2000, infatti, stabilisce che
Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione
Tuttavia, tra diritto tributario e diritto amministrativo si registrano anche esplicite prese di distanza. Esse sono funzionali a ribadire, in ogni caso, il carattere specifico e autonomo delle rispettive discipline.
Un esempio è dato dall’art. 13, comma 2, L. 241/1990, ai sensi del quale, le norme che disciplinano la partecipazione del privato al procedimento amministrativo (“Le disposizioni contenute nel presente capo…”) “non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano”.
Diritto tributario e diritto penale
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E’ altresì forte l’interconnessione del diritto tributario con il diritto penale.
Tale relazione è sugellata a livello normativo per mezzo del D.Lgs. 74/2000 (c.d. Legge sui reati tributari). Il decreto prevede 10 reati tributari, a cui devono aggiungersi le autonome fattispecie criminose del “tentativo” del “concorso”. A caratterizzare e accomunare tutti i reati tributari è la presenza di condotte tese, direttamente o indirettamente, a procurare a se o ad altri l’evasione totale o parziale delle imposte. Per un approfondimento sull’argomento, si rinvia all’articolo Il reato tributario non è punibile se c’è pagamento.
Tuttavia, giova qui osservare che
- mentre alcune condotte sono state qualificate “in se e per se” delitti fiscali semplicemente in ragione del loro alto livello di antigiuridicità e della loro intrinseca lesività degli interessi dell’Erario (e, quindi, dello Stato). Reati tributari di questo tipo, ad es., sono quelli seguenti previsti dal D.Lgs. 74/2000: Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2); Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8); Occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10);
- altre condotte, invece, nascono come meri illeciti amministrativi-tributari per poi “progredire” alla natura di reati tributari in ragione del superamento della “soglia di rilevanza penale” prevista per ognuno di questi tipi di reati tributari (6). Tale “soglia di punibilità” può consistere, alternativamente o cumulativamente, in un determinato ammontare di: (a) imposta evasa, (b) elementi attivi di reddito non dichiarati, (c) elementi passivi di reddito fittizi dichiarati, (d) crediti inesistenti o non spettanti indebitamente utilizzati in compensazione. Reati tributari di questo tipo, ad es., sono i seguenti previsti dal D.Lgs. 74/2000: Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3); Dichiarazione infedele (art. 4); Omessa dichiarazione (art. 5); Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10 bis); Omesso versamento di IVA (art. 10 ter); Indebita compensazione (art. 10 quater); Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11).
Può constatarsi che, in queste ultime ipotesi, tra diritto tributario e diritto penale l’interconnessione si verifica nel verso opposto rispetto a quanto avviene tra diritto tributario e diritto civile. Come abbiamo visto, infatti, spesso una fattispecie tributaria deriva da una civilistica. Di converso, in alcuni casi, sono invece le fattispecie tributarie che possono “progredire” in fattispecie penali.
Un esempio per tutti è il citato reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. 74/2000). Di per sé, infatti, la condotta di non versare – entro la scadenza per il versamento dell’acconto IVA relativo all’anno successivo (i.e., 27 dicembre) – il debito IVA risultante dalla dichiarazione dei redditi, integra solamente l’illecito amministrativo di cui all’art. 13, D.Lgs. n. 471/1997, punito con una “sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato”. Tuttavia, se l’IVA indicata in dichiarazione e poi non versata alla prescritta scadenza risulta superiore ad €. 250.000 (c.d. soglia di rilevanza penale), l’illecito amministrativo evolve in illecito penale, integrando il reato di cui all’art. 10 ter, D.Lgs. 74/2000, “punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.
Lo scenario normativo appena illustrato è facilmente avverabile nella pratica reale. Si pensi al seguente…
Esempio
Una società concessionaria di autovetture vende, ogni anno, discrete quantità di automobili. La dichiarazione dei redditi annuale della società (c.d. Modello Redditi Sc) dovrà indicare il debito IVA complessivo. Tale debito, a sua volta, consisterà, sostanzialmente, nella differenza tra l’IVA (“a debito”) incassata con le fatture di vendita delle auto ai clienti e l’IVA (“a credito”) pagata sulle fatture di acquisto delle medesime autovetture, ad es., dal fornitore/grossista.
Ipotizziamo poi che, una volta presentata la dichiarazione dei redditi, la società ometta di versare il debito IVA ivi indicato entro la scadenza prevista dalla legge. A questo punto possono verificarsi n. 2 ipotesi:
il debito IVA indicato in dichiarazione e poi non versato è inferiore ad €. 250.000. In questo caso, la società, ai sensi dell’art. 7 del D.L. n. 269/2003, risponderà direttamente dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 13, D.Lgs. n. 471/1997;
il debito IVA indicato in dichiarazione e poi non versato è superiore ad €. 250.000. In questo caso, il legale rappresentante della società (i.e., l’amministratore) risponderà personalmente del reato di omesso versamento di IVA (art. 10 ter, D.Lgs. 74/2000).
L’esempio mostra chiaramente come da una fattispecie civilistica (vendita di autovetture) si passi ad una fattispecie tributaria (IVA e relativi obblighi di fatturazione, dichiarazione e versamento), ad una fattispecie amministrativa o amministrativo-tributaria (atto tributario di accertamento e/o contestazione dell’omesso versamento IVA < €. 250.000) e, nei casi più gravi, ad una fattispecie penale (contestazione del reato ex art. 10 ter, D.Lgs. 74/2000 per omesso versamento IVA > €. 250.000).
Per un maggiore approfondimento sul reato di omesso versamento di IVA, si rinvia all’omonimo articolo Reato di omesso versamento di IVA.
Possiamo quindi constare che il c.d. “ordinamento tributario” combatte l’illecito tributario (in senso lato) attraverso 2 tipi di sanzione:
- la sanzione amministrativa pecuniaria, in relazione a quelle condotte meno gravi che integrano solo illeciti amministrativi (illecito tributario in senso stretto)
- la cui disciplina è oggi contenuta nei seguenti testi normativi: D.lgs. n. 472/1997 riguardante i principi generali della materia; D.Lgs. 471/1997 e il D.Lgs. 473/1997 individuano le singole fattispecie sanzionatorie; art. 7 del D.L. n. 269/2003, riguardante la riferibilità esclusiva alle persone giuridiche delle sanzioni amministrative tributarie
- la sanzione penale della reclusione, con riguardo alle condotte più gravi che integrano illeciti penali (reati tributari)
- la cui disciplina, come accennato, è oggi prevista dal D.Lgs. 74/2000 (c.d. Legge sui reati tributari)
D’altra parte, il tema dell’illecito tributario e della gradazione della sanzione in relazione alla gravità dello stesso, negli anni, è stato oggetto di approfondimento da parte della dottrina (7)
Al di là dei reati tributari e della loro disciplina (D.Lgs. 74/2000), è degno di nota un altro forte punto di interconnessione tra il diritto tributario e il diritto penale.
Il sistema delle sanzioni tributarie ha infatti recepito molti dei principi giuridici su cui si fonda il diritto penale.
Tra i più importanti vanno annoverati i seguenti:
- principio di personalità (art. 2, comma 2, D.Lgs. 472/1997 – art. 27 Cost.), oggi mitigato dalla diretta riferibilità alle persone giuridiche della sanzione amministrativa tributaria (art. 7 del D.L. n. 269/2003)
- principio di legalità espresso dal brocardo latino per cui “Nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali”. Il principio stabilisce quindi che nessuno può essere punito se un fatto non è considerato reato da un’apposita legge (art. 3, D.Lgs. 472/1997 – art. 1 Codice Penale – art. 199 Codice Penale – art. 25, comma 2, Cost.) e i suoi n. 4 corollari:
- riserva di legge (art. 3, D.Lgs. 472/1997 – art. 25, comma 2, Cost. – art. 1 Codice Penale)
- principio di tassatività o sufficiente determinatezza della legge (art. 3, D.Lgs. 472/1997 – art. 25, comma 2, Cost. – art. 1 Codice Penale)
- principio di irretroattività della legge (art. 3, comma 1, D.Lgs. 472/1997 – art. 25, comma 2, Cost. – art. 2, comma 1, Codice Penale)
- divieto di applicazione analogica della fattispecie sanzionatoria (divieto di analogia in malam partem) (art. 14 Preleggi – art. 25, comma 2, Cost.)
- abolitio criminis (art. 3, comma 2, D.Lgs. 472/1997 – art. 2, comma 2, Codice Penale)
- favor rei (art. 3, comma 3, D.Lgs. 472/1997 – art. 2, comma 4, Codice Penale)
- imputabilità (art. 4, D.Lgs. 472/1997 – art. 85 Codice Penale)
- principio di colpevolezza (art. 5, D.Lgs 471/1997 – art. 27 Cost.)
Un terreno dove risulta particolarmente forte ed evidente l’interconnessione del diritto tributario con il diritto penale è rappresentato dalle “frodi fiscali”. Tra queste, in particolare, la c.d. frode carosello, considerata la frode IVA per antonomasia.
L’interesse per il carattere interdisciplinare del diritto tributario
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Il carattere spiccatamente interdisciplinare del diritto tributario è ictu oculi evidente non solo allo studioso o all’operatore del diritto. Esso è altresì facilmente riscontrabile e percepibile dalla collettività. A tal proposito, si rimanda alle esemplificazioni svolte nel corso del presente articolo.
Tali premesse spiegano anche un certo interesse sorto sull’interconnessione del diritto tributario rispetto alle altre branche del diritto. Una conferma di ciò può essere desunta dal piacevole invito che ho ricevuto da Radio Roma Capitale (FM 93 Mhz) ad intervenire sull’argomento, in due occasioni, nella trasmissione “Live Social”.
Per chi fosse interessato, riporto a seguire i video relativi ai 2 interventi
Conclusioni
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Il diritto tributario, come altre branche del diritto, rappresenta una materia dotata di indiscussa autonomia e specificità. Gli elementi “specialistici” della disciplina sono peraltro confermati dalla diversità e molteplicità di norme e testi normativi ad essa specificamente dedicati e tali da formare un vero e proprio “sistema tributario”.
Cionondimeno, il carattere di spiccata interconnessione del diritto tributario rispetto alle altre discipline giuridiche ed economiche potrebbe essere considerato quale ulteriore elemento “specializzante” la materia de quo. Sicuramente, tale aspetto interdisciplinare richiede sia allo studioso e sia all’operatore del diritto la conoscenza e la padronanza di concetti, nozioni ed istituti del tutto esulanti dal “diritto” stricto sensu inteso.
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Note
(1) P. Boria, Il sistema tributario, UTET, Torino, 2008.
(2) L. Iacobellis, Certezza del diritto e codificazione tributaria nel nuovo disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale, in Riv. Dir. Trib., supplemento online del 16 marzo 2022, Pacini Giuridica, Pisa. Il contributo è consultabile al seguente indirizzo internet: https://www.rivistadirittotributario.it/2022/03/16/certezza-del-diritto-e-codificazione-tributaria-nel-nuovo-disegno-di-legge-delega-per-la-revisione-del-sistema-fiscale/.
(3) Achille Donato Giannini è stato un noto e autorevole giurista, nonché, vice-avvocato erariale e membro del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Professore universitario dal 1936, Giannini ha insegnato prima il diritto amministrativo in diverse università, poi la scienza delle finanze e il diritto finanziario presso l’Ateneo di Bari. Considerevoli sono stati i suoi contributi alla sistemazione del diritto tributario. Tra le opere principali, ricordiamo: Il rapporto giuridico d’imposta, Milano 1937; Istituzioni di diritto tributario, Milano 1938, 7ª ed., 1956; Diritto finanziario e scienza delle finanze, Milano 1939.
(4) Cfr. G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, CEDAM, 2018, p. 40, secondo il quale “il reddito imponibile è, pur sempre, una novella ricchezza derivante da una fonte produttiva”; S. La Rosa, Principi di diritto tributario, Torino, 2006, p. 43.
Inoltre, da un punto di vista operativo, nel diritto tributario ci si riferisce più propriamente al “reddito imponibile”. Tale è il “reddito netto”, ossia, il “reddito lordo” dedotto dei costi e delle spese che sono stati necessari per produrlo (c.d. costi deducibili dal reddito). In tal senso, si veda, ex multis, E.R.A. Seligman, The Income Tax. A Study of the History, Theory, and Practice of Income Taxation at Home and Abroad, New York, 1914, p. 19, per il quale “income is, of course, to be distinguished from mere receipts or gross revenue. It is more than that which simply comes in from any economic activity. By income is always meant net income, as opposed to gross income. In other words, from the receipts in any enterprise we must, in the first place, deduct the expenses of the enterprise – that is, the outlay incurred in securing the gross product”.
(5) P. Boria, L’interesse fiscale, G. Giappichelli Editore, Torino, 2002.
(6) Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 12/09/2013 n° 37424, hanno precisato che ci può essere concorso e coesistenza tra l’illecito penale di omesso versamento IVA ex art. 10-ter, D.Lgs. 74/2000 e il corrispondente illecito amministrativo previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1. La Suprema Corte ha infatti stabilito che tra i due illeciti “intercorre un rapporto non di specialità ma di progressione illecita, che comporta l’applicabilità congiunta delle due sanzioni”.
(7) Sul tema, ex multis, cfr. Dus, A., Teoria generale dell’illecito fiscale, Milano, 1957; Del Federico, L., Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993, 129; Cordeiro Guerra, R., Illecito tributario e sanzioni amministrative, Milano, 1996, 110; Puri, P., Illecito fiscale, in Dig. comm., vol. VI, Milano, 1990, 477.
Sitografia:
http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/
https://def.finanze.it/DocTribFrontend/RS2_HomePage.jsp
https://www.gazzettaufficiale.it/
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